Donald Trump (foto LaPresse)

Trump tramuta le ultime sull'inchiesta russa da opportunità in delirio social

Più il presidente guardava gli analisti degli odiati media mainstream dare interpretazioni assai meno innocenti dell'incriminazione dei 13 russi coinvolti nel Russiagate, più montava la pulsione autolesionista

E’ stato il golf, anzi l’assenza del golf, a trasformare il fine settimana di Donald Trump da momento favorevole per protestare la sua innocenza nell’affare russo in una tempesta social biliare e contraddittoria che ha travolto nemici e amici, facendo un solo fascio delle ragioni e dei torti. Il presidente era nella sua tenuta di Mar-a-Lago, ma le reminiscenze di Barack Obama che viene criticato per aver solcato i campi da golf in prossimità di una strage d’arma da fuoco gli hanno suggerito di evitare le consuete partite del weekend. Le immagini del massacro di mercoledì scorso in una scuola di Parkland, in Florida, erano ancora troppo vive per sovrapporre quella del presidente che si sollazza fra le buche, e così Trump si è trovato a guardare molta televisione, circondato dalla tribù dei consiglieri più malmostosi: i figli, Don Jr. e Eric, il capo di gabinetto che sta attraversando un severo esame di lealtà, John Kelly, l’ex caddie diventato maestro della comunicazione social del presidente, Dan Scavino.

 

I commentatori scandagliavano le 37 pagine di incriminazione prodotte dallo special counsel, Robert Mueller, e pubblicate venerdì, un documento che conferma in modo puntuale e circostanziato che uomini ed entità russe legati a doppia mandata al Cremlino hanno lavorato in modo coordinato per “promuovere discordia negli Stati Uniti e minare la fiducia del pubblico nella democrazia”, come ha detto il numero due del dipartimento della Giustizia, Rod Rosenstein. L’indictment specifica che nella loro febbrile attività di influenza, iniziata almeno nel 2014, i russi hanno deciso a un certo punto di concentrare i loro sforzi contro Hillary Clinton e a favore di Trump e Bernie Sanders, ma non prova la collusione fra la campagna dell’allora candidato repubblicano e il Cremlino (i consiglieri di Trump coinvolti sono definiti “inconsapevoli”), non parla del ruolo dei russi nella violazione dei server del Partito democratico e non si occupa della possibile ostruzione della giustizia messa in atto dal presidente. Trump ha subito capito che poteva dare uno spin positivo al documento, e ha twittato: “La Russia ha iniziato la sua campagna contro gli Stati Uniti nel 2014, molto prima che annunciassi la mia corsa alla presidenza. I risultati delle elezioni non sono stati influenzati. La campagna di Trump non ha fatto nulla di sbagliato – niente collusione!”.

 

Ma più Trump guardava gli analisti degli odiati media mainstream dare interpretazioni assai meno innocenti del documento, più montava la pulsione autolesionista, quella voce interiore che immancabilmente lo ha convinto a dire che lui non aveva mai sostenuto che i russi avessero lavorato per influenzare le elezioni (cosa che ha detto innumerevoli volte), lo ha spinto a chiamare “mostro” l’ufficiale democratico più alto della commissione Intelligence, a usare in modo distorto le dichiarazioni del vicepresidente di Facebook, Rob Goldman, a castigare il consigliere della sicurezza nazionale, H. R. McMaster, che a Monaco ha detto che il report di Mueller mostra in modo “incontrovertibile” il coinvolgimento russo. McMaster, ha twittato Trump, “ha dimenticato di dire che i risultati delle elezioni del 2016 non sono stati influenzati o cambiati dai russi e la sola collusione è stata quella fra la Russia, la corrotta H e il Partito democratico”. Dal disgraziato osservatorio del divano, il potenziale positivo per la narrazione trumpiana è stato inghiottito da un accesso autodistruttivo che è culminato con il parallelo fra il comportamento “inaccettabile” dell’Fbi, che ha ignorato tutti i segnali che hanno portato alla strage di Parkland e ha “passato troppo tempo a tentare di dimostrare la collusione con la Russia”. La parabola involutiva, un racconto esemplare, benché non proprio edificante, del modus operandi presidenziale si è conclusa lunedì, nel giorno del President’s Day, con un cinguettio di auguri degno del miglior “stable genius”: “Passate un ottimo, ma molto riflessivo, President’s Day”.

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