Voli antiterrorismo
Gli stati africani che vogliono aerei spia contro lo Stato islamico trattano con l’industria italiana
Roma. Da anni è in corso una campagna aerea molto discreta per sorvegliare i gruppi terroristici che si muovono negli spazi vasti dei paesi africani sul Mediterraneo. I primi in questa campagna sono gli americani, che usano basi di partenza in Sicilia e a Cipro per spiare dall’alto i convogli dello Stato islamico in Libia e nel Sinai con aerei che a uno sguardo distratto sembrano civili ma sono carichi di apparecchiature speciali. A volte gli americani bombardano i terroristi, sempre senza che se ne parli molto, com’è successo almeno quattro volte tra settembre e novembre 2017. Ora anche alcuni paesi africani vogliono aumentare le loro operazioni di sorveglianza dall’alto e sono in trattative – separate – con il gruppo italiano Leonardo, che è molto ben piazzato nel settore. Secondo il sito specializzato Maghreb Confidentiel, gli italiani stanno negoziando in Tunisia la vendita di due aerei spia per la raccolta di intelligence che serviranno anche a sorvegliare la partenza dei cosiddetti sbarchi occulti, ovvero gli spostamenti di immigrati effettuati con imbarcazioni veloci che non si consegnano ai soccorritori – come fanno spesso quelle partite dalla Libia – ma tentano invece di arrivare alle spiagge italiane senza essere intercettate. La Tunisia ha un problema serio di terrorismo armato soprattutto nelle zone montagnose dell’interno e al confine smisurato e molto difficile da osservare con la Libia. Nel marzo 2016 lo Stato islamico ha tentato di conquistare Ben Guerdane, una cittadina tunisina proprio sul confine con la Libia. Leonardo è anche in trattativa con l’Algeria, per fornire quattro o cinque aerei modello MC-27 – più grossi di quelli offerti alla Tunisia – che dovrebbero servire a pattugliare le vaste aeree in cui si possono nascondere i gruppi combattenti.
Dopo lo sradicamento dello Stato islamico da Sirte in Libia, nel dicembre 2016, ora gli stati della regione temono che le spore estremiste stiano attecchendo un po’ dappertutto facilitate anche da un ambiente favorevole. Dal Niger dove è previsto l’arrivo di una missione militare italiana alla Libia dove lo Stato islamico è ancora attivo (due giorni fa ha attaccato con un camion bomba un posto di blocco dell’esercito) alla Tunisia che ha visto partire migliaia di volontari per combattere il jihad all’Algeria che negli anni Novanta fu teatro di una guerra civile che fece tanti morti come oggi in Siria ma che pochi ricordano, l’Africa è un luogo d’impiego naturale – e quindi anche un mercato – per questi velivoli di sorveglianza e raccolta informazioni molto tecnologici.
In entrambi i casi, Tunisia e Algeria, gli italiani devono vedersela con i rivali americani – che producono il King Air, un modello a due motori che è molto richiesto per questo tipo di missioni. L’incertezza è reale soprattutto nel caso di Tunisi dove il capo di stato maggiore dell’aeronautica, Mohammed el Hajjem, è stato attaché militare all’ambasciata tunisina a Washington e quindi gode di contatti privilegiati con gli americani. Ad Algeri, pare, gli italiani sono invece in vantaggio grazie a un rapporto di fiducia che dura da tempo. Nel 2016 mandarono un aereo per un test all’aeroporto di Boufarik, vicino alla capitale Algeri.
A fine gennaio il ministro della Difesa italiano, Roberta Pinotti, è volata a Tunisi per parlare di collaborazione militare e di sicurezza e ha incontrato il presidente tunisino Beji Caid Essebsi. Tra le missioni militari italiane autorizzate dal Parlamento a gennaio c’è anche l’invio di un contingente di circa sessanta uomini in Tunisia.
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