Una manifestazione di protesta a Caracas contro la penuria di generi alimentari (foto LaPresse)

La fiesta dei ciarlatani

Giulio Meotti

Dall’Onu ai premi Nobel, tutti quelli per i quali il Venezuela non poteva che essere un paradiso Benvenuti nel “mondo migliore” alternativo al capitalismo dove i poveri dimagriscono

L’ultimo rapporto aveva stimato una perdita di nove chili a testa per ogni venezuelano. Giovedì, la Reuters ha aggiornato il bollettino della carestia. I venezuelani hanno riportato una perdita in media di undici chili. Quasi il 90 per cento della popolazione vive in condizioni di povertà (nel 2014 era il 48 per cento). Oltre il 60 per cento dei venezuelani intervistati afferma che durante i tre mesi precedenti si è svegliato affamato. Un quarto della popolazione mangia meno di due pasti al giorno. E i prezzi sono aumentati del 4.068 per cento secondo le stime dell’Assemblea nazionale guidata dall’opposizione, ma in linea con le cifre degli economisti indipendenti. 

 

Lo avevano cantato come un paradiso, era “una fiesta infernale”, secondo la definizione nell’ultimo numero della New York Review of Books. Il settimanale francese Le Point ha definito il Venezuela “il cimitero dei ciarlatani”. Ancora nel giugno scorso, il Manifesto si permetteva di pubblicare un articolo a firma di François Houtart in cui si elogiava un regime “fedele all’emancipazione del popolo”.

 

In Europa di ammiratori quel regime orrendo ne ha sempre trovati tanti: in Francia, il capo del terzo partito, Jean-Luc Mélenchon; in Inghilterra, il leader del Labour, Jeremy Corbyn; in Italia il primo partito, i Cinque stelle; in Spagna, Podemos. E si sapeva già tutto, del famoso miracolo venezuelano. Time Magazine questa settimana scrive: “Il Venezuela detiene le maggiori riserve petrolifere del mondo e una volta era tra le nazioni più ricche dell’America Latina. Ma dopo quasi due decenni di dominio socialista è stata colpita dalla peggiore crisi economica della storia”. Uno sfacelo reso possibile grazie al sostegno di ampi settori della sinistra mondiale. Ken Livingstone, l’ex sindaco di Londra, ha imputato la crisi del Venezuela al fallimento del regime di eliminare tutti i capitalisti. “Ci sono dei veri problemi e Maduro deve affrontarli ma… non ha ucciso tutti gli oligarchi”, ha detto il politico laburista.

 

Mélenchon, i Cinque stelle, Corbyn e Ken Livingstone, per il quale l’errore del Venezuela è stato “non uccidere tutti gli oligarchi”

L’inflazione negli Stati Uniti nell’ultimo decennio è rimasta al di sotto del due per cento, l’obiettivo della Federal Reserve. Il Venezuela sperimenta un fenomeno raro e devastante: quattromila per cento di inflazione. Tra il 2013 e il 2017, il Pil nazionale e pro capite del paese si è contratto più severamente di quello degli Stati Uniti durante la grande depressione e più di quelle di Russia, Cuba e Albania dopo la fine del comunismo. Il salario mensile del Venezuela non è sufficiente per soddisfare neanche il 12 per cento del fabbisogno alimentare di una sola persona. Eppure, come scrisse succintamente lo scrittore Alma Guillermoprieto nella New York Review of Books, il Venezuela socialista era “indiscutibilmente affascinante e persino accattivante”. Lo scrittore britannico Tariq Ali intanto proclamava che il Venezuela era il paese più democratico dell’America Latina, mentre il chavismo purgava media e opposizione. Alfred De Zayas, esperto indipendente dell’Onu per la “promozione di un ordine democratico ed equo”, ha visitato il Venezuela alla fine di novembre per valutare il suo stato sociale ed economico. Tornando a Ginevra, De Zayas ha detto di non ritenere che i problemi del paese fossero una crisi umanitaria. “Sono d’accordo con la Fao che la cosiddetta crisi umanitaria non esiste in Venezuela” ha detto De Zayas. Ha anche detto che la copertura mediatica del paese è spesso “teatrale” e “non aiuta a risolvere i problemi” che il paese deve affrontare.

 

Il premio Nobel per la Letteratura José Saramago ha sempre elogiato il chavismo e il Guardian definì Caracas “la mecca della sinistra che promette di costruire la giustizia sociale”. Global Exchange, un gruppo con sede a San Francisco, organizzava viaggi per quasi cinquecento americani all’anno. Dalla Gran Bretagna, la campagna di solidarietà con il Venezuela, con sede a Wolverhampton, inviava in missione i membri del sindacato. Niente spiagge caraibiche, visite invece alle baraccopoli. “Considerata la storia dell’intervento dei Gringo negli affari dell’America latina, i venezuelani ci hanno accolto con uno straordinario grado di ospitalità e apertura”, diceva Edward Ellis, un antropologo americano che coordinava quei tour.

 

“Gorgeous” George Galloway, il deputato inglese che ama flirtare con i dittatori, si propose di trasmettere i discorsi di Hugo Chávez dalla sua casa a Londra. Naomi Klein, l’autrice di “No Logo”, ha elogiato il Venezuela come un luogo in cui “i cittadini hanno rinnovato la loro fede nel potere della democrazia per migliorare le loro vite”, dichiarando che il paese era stato reso immune agli choc del libero mercato grazie al “socialismo del XXI secolo”. 

 

Ricordano gli utili idioti occidentali che andarono in Unione sovietica e trovarono “un viottolo ben curato”

Era il fiore all’occhiello dell’anticapitalismo, tanto che Gianni Vattimo si vantava di partecipare alla “Prima settimana internazionale di filosofia del Venezuela”. Eppure, il Wall Street Journal raccontava già che “i bambini del Venezuela stanno morendo a un ritmo superiore a quello della Siria”. Nei giorni scorsi la stampa ha iniziato a pubblicare le storie dei genitori venezuelani che hanno abbandonato i figli negli orfanotrofi, dove avranno più probabilità di essere sfamati. Uno studio della Caritas ha rilevato che la proporzione di bambini sotto i cinque anni che non hanno un’alimentazione adeguata è balzata al 71 per cento a dicembre dal 54 per cento di sette mesi fa. 

 

Mentre i cittadini venezuelani cercavano cibo nei rifiuti, il governo Maduro veniva premiato dalla Fao per aver “raggiunto l’obiettivo del millennio delle Nazioni Unite di dimezzare la malnutrizione”. Bastava sfogliare un rapporto del New York Times, secondo cui i venezuelani sono radunati “come il bestiame” in piedi per ore in fila nella speranza di comprare cibo, mentre i soldati controllano le carte di identità per assicurarsi che nessuno provi a acquistare articoli di base più di una volta alla settimana. “Il Venezuela può essere considerato uno dei paesi, come il Brasile e la Cina, che ha contribuito alla cooperazione”, ha osservato Laurent Thomas, direttore della Fao per la cooperazione tecnica. Una coalizione di ong punta il dito contro le agenzie delle Nazioni Unite come Paho, Fao, Undp, Unfpa, Unicef e Oms. 

 

Il Venezuela è stato pure rieletto al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Jean Ziegler è stato l’esperto Onu sul diritto al cibo per molti anni. Il Venezuela ha nominato Ziegler, un alleato di lunga data del clan Castro, alle Nazioni Unite e gli ha dato il suo sostegno. In cambio, Ziegler ha elogiato Chávez (e poi Maduro). Allo stesso modo, Hilal Elver, attuale commissario Onu per il Diritto al cibo dei bambini, è uccel di bosco sul Venezuela. Ancora nel 2016, la star del cinema e premio Oscar Jamie Foxx si è presentato sorridente al palazzo presidenziale di Caracas per una photo opportunity con Maduro. Noam Chomsky, il beniamino della sinistra radicale, il linguista del Mit in pensione, ripeteva che a Caracas si sta costruendo “un mondo migliore”.

 

I sindacati inglesi partivano in missione, mentre George Galloway, l’amico dei tiranni, diffondeva i discorsi del chavismo

L’attore Sean Penn ha incontrato i leader venezuelani in numerose occasioni, descrivendo quel paese come fautore di “cose incredibili per l’80 per cento delle persone che sono molto povere”. Dopo la morte di Chávez nel 2013, Penn disse che “i poveri di tutto il mondo hanno perso un campione”. Il regista Oliver Stone era un tale fan del regime chavista da “piangere un grande eroe” dopo la morte di Chávez. L’attivista americano per i diritti civili Jesse Jackson ha visitato Caracas elogiando quel regime per la sua “attenzione al commercio libero ed equo”. Dopo la morte di Chávez, Jackson ha offerto una preghiera al suo funerale mentre celebrava la sua eredità socialista: “Hugo ha nutrito gli affamati”. Anche il regista Michael Moore dopo la morte di Chávez lo ha incensato per “aver eliminato il 75 per cento della povertà estrema”.

 

Il leader del Partito laburista britannico, Jeremy Corbyn, è ancora un fan del regime venezuelano in quanto avrebbe apportato “enormi contributi al Venezuela e al mondo” e non si riesce a tirargli fuori una parola sulla carestia di massa in corso. L’economista Joseph Stiglitz, vincitore di un premio Nobel, ha elogiato le politiche venezuelane per il “successo nel portare la salute e l’educazione alla gente nei quartieri poveri di Caracas”. Nessuno voleva vederli tutti quei venezuelani che salivano su imbarcazioni di fortuna per sfuggire al collasso economico del loro paese. Nessuno voleva leggere il New York Times, che spiegava come “il Venezuela una volta era uno dei paesi più ricchi dell’America latina e attraeva gli immigrati provenienti da luoghi diversi come l’Europa e il medio oriente”.

 

Nessuno voleva parlare con le donne venezuelane che stanno attraversando il confine in massa per vendere i loro capelli al fine di permettere di comprarsi beni primari come cibo, pannolini o medicinali. I report di Nicholas Casey sul New York Times parlano di mortalità alle stelle nei reparti di maternità, di antibiotici che scarseggiano, di chirurghi costretti a lavorare senz’acqua, di code fuori dai negozi, di elettricità razionata, di dipendenti pubblici che lavorano due giorni a settimana. La rivista liberal americana Salon ha pubblicato un articolo di David Sirota intitolato “Il miracolo economico di Hugo Chávez”, elogiato per la sua “critica fondamentale dell’economia neoliberista”.

 

Da Bernie Sanders ai giornali della sinistra inglese, Caracas era diventata la mecca “alternativa al dogma neoliberale”

Il giornalista inglese Owen Jones è andato in pellegrinaggio a Caracas e ha scritto che “il Venezuela è un’ispirazione per il mondo”. Sull’Independent, Jones ha sostenuto che il Venezuela “ha dimostrato che è possibile guidare un governo popolare progressista che rompe con il dogma neoliberale”. Il senatore Bernie Sanders si è lanciato in una affermazione straordinariamente lungimirante: “Il sogno americano è realizzato in Sudamerica, in luoghi come l’Ecuador e il Venezuela. Qual è la repubblica delle banane adesso?”. E un altro Nobel, Rigoberta Menchú, ha difeso il regime ancora lo scorso ottobre, dicendo che “per valutare un conflitto devi conoscere i dettagli dietro di esso”. 

 

I dettagli, già. Accadde anche in Unione sovietica negli anni Trenta. Anni di purghe e di penuria economica, ma l’inglese George Bernard Shaw viaggiò in Russia su un treno pieno di cornucopie. In casa del vate degli scrittori Maxim Gorkij, Romain Rolland raccontava di una “tavola carica di cibarie, tutti i tipi di antipasti freddi, di salumi, di pesci salati, o affumicati, o congelati. Granchi, gelatine alla crema eccetera”. Lion Feuchtwanger scriveva che il futuro si presenta ai sovietici “come un viottolo ben definito e ben curato in mezzo a un piacevole paesaggio”. 

 

Settant’anni dopo, un altro “paradiso socialista” si trasformava in un film dell’orrore grazie alla stupida cecità di un’altra legione di utili idioti occidentali. Ma i divi di Hollywood se visitassero oggi il Venezuela potrebbero trovare un aspetto edificante e positivo. Usare quel paese per girare il sequel di “Hunger Games”. I giochi della fame.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.