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Nel Regno Unito tornano gli ex

Paola Peduzzi

Prima John Major, poi Tony Blair. L’offensiva anti Brexit si arricchisce di una nuova proposta (blairiana)

Milano. Quando gli ex si ripresentano, viene sempre da chiedersi: perché sei ancora qui, non era finita? Quando se ne presentano due di fila, nel giro di due giorni, le domande risultano superflue, soprattutto se intanto ti bombardano di immagini di quando tutti, gli ex e noi, eravamo molto più giovani: evidentemente avranno qualcosa di importante da dire. John Major, ex premier britannico conservatore dal 1990 al 1997, mercoledì ha attaccato il suo stesso partito e la premier, Theresa May, in un discorso che è stato naturalmente celebrato dai “remainers”: non c’è ancora un piano per la Brexit, ha detto Major, è necessario che il Parlamento abbia il diritto di un voto sull’accordo finale con l’Ue e che ci sia la possibilità di indire un secondo referendum – parola magica degli anti Brexit – per verificare che quel che è stato fatto in questi anni di negoziato sia gradito o no agli inglesi. Major ha anche sottolineato che il dibattito oggi è ancora più aspro di quanto non fosse nel 2016 – il tempo non cura le ferite gravi – e che “intolleranza, bullismo e accuse personali” hanno avuto il sopravvento: ci vorrebbe un maggior rispetto, ha concluso, mentre stracciava, con colpi ben assestati, i suoi compagni di partito pro Brexit. Dopo lo scontro fratricida, che ormai è una costante tra i Tory, ieri è toccato al secondo ex, Tony Blair. L’ex premier laburista è andato a parlare a Bruxelles, all’European Policy Center, per allargare il suo gruppo d’ascolto: al Regno Unito ha già detto molto, introducendo un concetto che, tra gli anti Brexit, è stato ricevuto e rivenduto, abbiamo il diritto di cambiare idea sulla Brexit. Rivolgendosi agli europei, l’ex premier ha voluto dire due cose: la Brexit si può fermare, e dobbiamo farlo in fretta, ma ricordiamoci che l’Ue può anche cogliere quest’occasione di confronto per riformarsi.

 

Il merito di Blair, da sempre, è quello di assecondare il suo istinto riformatore: ogni occasione per lui, anche quella che sulla carta appare tragica come la Brexit (un errore “storico” commesso dal Regno) serve a introdurre miglioramenti – progressi diremmo, se “progressista” non fosse diventata una parola controversa. L’ex premier laburista è stato l’unico, in questi mesi di scarsità di idee e proposte fattibili, a introdurre una visione, per il Regno Unito e anche per l’Europa. Di questo è difficile non dargli merito, anche se a guardare la stragrande maggioranza dei commenti sulla rete, si trovano soltanto disprezzo, mani insanguinate, derisione: non c’è leader politico più detestato di lui, nel paese. Quando Blair dice, e lo fa senza dover mostrare un patentino da liberale, che sui pilastri dell’Ue, le quattro libertà, bisogna riflettere, perché il caso inglese insegna che certi lacci europei – soprattutto quelli relativi all’immigrazione – vanno stretti a molti, dice una cosa che tanti condividono. E’ un peccato che la May, nei suoi tanti movimenti per posizionarsi da qualche parte nel dibattito (oggi tiene un discorso sulla Brexit definito “un passo in avanti reale”), non abbia mai colto questo spunto. Ma Blair vuole di più, e chiede all’Ue “un’offerta” per far sì che il Regno resti nel consesso europeo e partecipi a una riforma strutturata dell’Ue. Ma oggi le riforme presentate dall’ex premier, da un inglese, non sono la priorità per l’Ue. Non soltanto perché il negoziato tra Bruxelles e Londra sta andando allo scontro frontale, con l’ultimo documento legale presentato dagli europei che è già stato definito “inaccettabile” dalla May (e in effetti lo è, inaccettabile, ma se la linea del governo inglese è “fuori dal mercato unico e dall’unione doganale”, non ci sono alternative). Ma anche perché l’Ue, dopo lo choc iniziale del rifiuto britannico, si sta abituando a fare calcoli e progetti senza gli inglesi che nei decenni della loro membership erano stati molto puntigliosi e determinati nel ritagliarsi una posizione speciale e privilegiata. Proprio mentre l’Ue si sta abituando a stare da sola, gli ex si presentano, e no, non fanno più l’effetto di un tempo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi