Theresa si fa più soft
La premier inglese offre una Brexit meno dura, con molte conseguenze
Theresa May ha fatto il suo terzo discorso sulla Brexit, solita assenza di colori attorno a sé e un piglio più deciso, scelto per offrire la sua versione più “soft”. Mercato unico e unione doganale non saranno più in comune dopo l’uscita del Regno Unito dall’Ue, questo si sa, ma sul resto la premier inglese ha cercato di allungare una mano: accetta le regole sulla concorrenza (cosa non da poco), vuole rimanere nelle agenzie più importanti (compresa l’Ema), la Corte di giustizia non opererà nel Regno ma quel che stabilisce ha effetto anche lì. No al modello Norvegia (che prevede la libertà di movimento) né al modello Canada (troppo leggero), ma sì a un accordo commerciale “con un nuovo equilibrio” – “ogni accordo di libero scambio prevede diversi accessi ai mercati a seconda degli interessi dei paesi coinvolti: se questo è ‘cherry-picking’, allora ogni accordo commerciale è ‘cherry-pickiing’”, ha detto per zittire chi in Europa dice agli inglesi che vogliono prendersi soltanto il bello dell’Ue e scartare il resto.
Resta la questione nordirlandese, che secondo i brexitologi è quella che può davvero far saltare il negoziato: non ci sarà alcun confine dentro al Regno Unito, ha sottolineato la May, rifiutando ancora una volta l’offerta fatta dall’Ue – offerta invero tremenda, l’Irlanda del nord di fatto annessa all’Ue, ma senza alternative, e la May non ne ha offerte. Ma anche su questo, un accordo si può trovare, dice la premier: saremo fuori dal mercato unico, e quindi le cose saranno molto diverse, anche difficili (“up and down”), rispetto a ora, ma gli inglesi stando insieme riusciranno a riprendere il controllo del loro paese, senza perdere i contatti con l’Ue. E’ necessario capire la fattibilità – e i tempi – delle ipotesi prospettate dalla May, la quale intanto deve però sperare che il suo discorso sia riuscito a unire i suoi disunitissimi compagni di partito: ha bisogno di tutti loro (e di qualcuno d’altro) per provare a non dover accettare soltanto lei i compromessi con l’Ue.