Parigi vuole parlare con l'Iran (anche di Siria) ma prende uno schiaffo
L'incontro tra Rohani e Le Drian non ha migliorato i rapporti tra i due paesi. Macron vuole tornare influente in Siria ma non ha i mezzi per dare seguito alle sue ambizioni
Parigi. Lunedì il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves Le Drian, è stato in visita ufficiale in Iran per discutere del deal sul nucleare e del ruolo di Teheran nella regione. La visita, inizialmente prevista il primo fine settimana di gennaio ma poi rinviata a causa delle proteste esplose in Iran, è avvenuta in un contesto complicato e non ha fatto registrare decisivi passi avanti nei rapporti tra i due paesi. Già domenica sera si era capito che gli spazi per negoziare sarebbero stati stretti: Emmanuel Macron e Hassan Rohani hanno parlato a telefono per preparare l’incontro, ma la cordialità è uscita persino dai comunicati di rito. Il presidente francese, che vuole tornare influente in Siria ma non ha i mezzi sul terreno per dare seguito alle sue ambizioni, ha chiesto a Rohani di fare pressione sul rais siriano, Bashar el Assad, per evitare di aggravare il bilancio della guerra civile; il presidente iraniano ha risposto che chi vende armi all’Arabia Saudita (e la Francia è uno dei primi paesi a farlo) deve “rendere conto dei crimini di guerra” in Yemen. Chiusura confermata il giorno dopo: “Se vogliamo risolvere la crisi in Siria non c’è altro modo che rinforzare il governo centrale a Damasco”, ha detto Rohani a Le Drian, facendo capire che per adesso non ci saranno evoluzioni sul dossier siriano.
Il tentativo di Macron con Teheran deve inoltre tenere conto di Donald Trump. Il presidente francese sarà il primo ospite internazionale in visita ufficiale alla Casa Bianca, e conta sulla “special relationship” per influenzarne, nei limiti, alcune decisioni – Macron vorrebbe convincere gli americani, per esempio, a rientrare nell’accordo sul clima. Il viaggio di Le Drian serve a preparare quello del suo presidente a Washington, vista la tempistica: la visita è prevista il 23 aprile, poco prima della nuova deadline americana sulle sanzioni iraniane, il 12 maggio, quando Trump deciderà definitivamente se abbandonare o no l’accordo sul nucleare. Sarà inevitabile, per la Francia, portare elementi a sostegno dell’accordo del quale è ormai la sostenitrice più importante.
L’equazione è complicata perché Macron sta cercando di dimostrare di non essere schiacciato sulle posizioni americane. Un sentimento da non sottovalutare a Teheran (Le Drian è stato presentato come il “valletto di Washington” dal quotidiano ultraconservatore Javan), e ribadito dal ministro degli Esteri Javad Zarif al suo omologo francese: “L’Europa è nelle mani degli Stati Uniti e del loro gioco politico irrazionale”. I francesi vorrebbero scambiare il loro grande impegno sul deal nucleare con un passo indietro iraniano sul programma missilistico convenzionale. L’Iran possiede la capacità di lanciare missili a circa 2.000 chilometri di distanza e colpire, in caso di escalation, Israele e le basi americane della regione. Ma da Teheran non c’è stata alcuna apertura: già il tre marzo, Massoud Jazayeri, portavoce dello Stato maggiore iraniano, aveva provocato: “La condizione per negoziare sui missili è la distruzione delle armi nucleari e dei missili a lunga gittata degli Stati Uniti e dell’Europa”, e lunedì l’ammiraglio Ali Shamkhani, esponente dell’ala ultra conservatrice che ha ricevuto Le Drian in alta uniforme, segno che non lo considera come una controparte diplomatica ma militare, ha chiarito la situazione: “Il programma missilistico è assolutamente necessario alla nostra politica di dissuasione”. Per Teheran è una questione di sovranità nazionale, ed è un dossier separato da quello nucleare.
Sullo sfondo c’è la grande promessa di crescita economica finora disattesa. Dal deal del 2015 gli scambi commerciali tra Francia e Iran sono aumentati, ma non abbastanza. Quasi tutti gli accordi economici conclusi dalla firma del deal sul nucleare sono in stand by: i colossi Total, Peugeot, Renault e Airbus sono pronti a investire, ma niente è ancora in funzione per paura di ritorsioni americane. Nessuna grande banca occidentale opera in Iran e senza un circuito di credito funzionante non è possibile mobilitare le risorse necessarie. Per questo motivo John Leahy, responsabile vendite di Airbus, ha spiegato a Reuters che probabilmente la sua azienda sarà costretta a rinviare gli investimenti. Uno degli escamotage immaginati da Parigi per risolvere la situazione è affidarsi alla Banque Publique d’Investissement: finanziare i progetti interamente in euro e, tramite benestare della banca centrale iraniana, inserire negli accordi una “clausola di sanzione”, da poter utilizzare per rompere i contratti senza pagare penali se gli americani dovessero ritirarsi dal deal e introdurre nuove sanzioni. Ma finora sono suggestioni.
Le Drian si è consolato con un piccolo intermezzo culturale inaugurando una mostra con cinquanta opere prestate dal Louvre al Museo nazionale iraniano. Un po’ poco per la prima visita di un ministro degli Esteri europeo dall’accordo del 2015, come lui stesso ha ammesso prima di ripartire per Parigi: “C’è ancora molto lavoro da fare con l’Iran” specialmente se, come pare, Macron andrà a Teheran prima della fine dell’anno.