Il principe saudita Mohammed bin Salman in visita a Londra (foto LaPresse)

Da Israele alla moda, Bin Salman smantella altri divieti in Arabia Saudita

Daniele Raineri

Il sovranismo del principe ereditario, che sta smantellando i pilastri del regno di Riad come lo conoscevamo

Roma. Non è ancora chiaro il giudizio che si può dare del principe ereditario al trono saudita, Mohammed bin Salman, ma è già chiaro che sotto di lui il regno sta cambiando faccia a una velocità che era difficile da immaginare fino a pochi mesi fa. Bin Salman sta smantellando i pilastri della vecchia Arabia Saudita come la conoscevamo e se dal medio oriente non arrivassero in continuazione notizie di guerra che catturano di più l’attenzione questa sarebbe la storia araba dell’anno. Lunedì il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha confermato che la compagnia aerea indiana Air India ha fatto un accordo con i sauditi e dal 22 marzo potrà volare attraverso il loro spazio aereo per raggiungere Israele – e questo mette fine a un divieto di sorvolo che durava da settant’anni. I sauditi avevano proibito alle compagnie aeree dirette verso Israele di passare sopra la penisola araba come parte dello stesso pacchetto punitivo che include l’azzeramento delle relazioni diplomatiche. Il risultato è che – tra queste rappresaglie diplomatiche e le zone di guerra – i voli che devono attraversare il medio oriente sono costretti a compiere lunghi giri. Ora il divieto comincia a cadere. Air India dice che così il volo sarà più corto di due ore mentre la compagnia di bandiera israeliana, la El Al, protesta perché è fuori dall’accordo e quindi i suoi voli non potranno sfruttare la nuova rotta più corta (disgelo sì, ma era difficile che il passo fosse compiuto tutto in una volta).

 

Dal primo giorno di aprile, pochi giorni dopo il 22 marzo, sarà possibile atterrare in Arabia Saudita con un visto turistico che varrà trenta giorni e sarà valido anche per le donne straniere di più di venticinque anni non accompagnate. Il regno era tradizionalmente chiuso e difficile da visitare se non per i pellegrini musulmani o gli uomini d’affari. Il nuovo visto turistico invece fa parte di un piano per portare entro il 2030 almeno trenta milioni di turisti all’anno in Arabia Saudita – che come ordine di grandezza è più o meno il numero che passa per Roma. Negli anni Ottanta il paese aveva tentato di aprirsi un poco ai turisti, ma obbligava tutte le donne a essere accompagnate dal marito oppure da un fratello secondo l’uso musulmano del mahram, il familiare che deve scortare una donna in viaggio e non lasciarla mai sola. Ora anche quest’obbligo cade dopo che altri divieti contro le donne sono già stati aboliti nei mesi scorsi, come per esempio il divieto di guidare che termina ufficialmente a giugno oppure quello di accedere agli stadi che è già finito. Se si aggiunge che la polizia religiosa saudita dall’anno scorso non può più effettuare arresti in flagranza nelle strade, ma soltanto far notare le violazioni della sharia, si ha la percezione della rivoluzione di costume in corso – e senza che la temuta fazione dei predicatori religiosi ultraconservatori abbia per adesso osato alzare la voce.

 

Oltre a spazio aereo, turismo e divieti contro le donne un altro pilastro tradizionale dell’Arabia Saudita che sta svanendo è quello della resistenza al divertimento dentro i confini nazionali. L’uso vuole che i sauditi vadano a distrarsi altrove, per esempio nelle città-stato del Golfo come Dubai oppure a Beirut, e che in casa si comportino secondo canoni più rigidi e quieti. Ma alla fine di febbraio il governo ha annunciato che nel giro dei prossimi dieci anni intende investire 64 milioni di dollari in infrastrutture dedicate al tempo libero, come per esempio un teatro dell’opera (del resto i trenta milioni di turisti qualcosa dovranno pur fare) e che per l’anno prossimo sono in programma cinquemila eventi come concerti e festival del fumetto. Questa campagna, che per ora è rivolta ai sauditi ed è chiamata “Non viaggiare” (s’intende all’estero per divertimento) sta già funzionando così bene che gli impresari osservano un’inversione di flusso: da fuori vengono a vedere cosa succede in Arabia Saudita. Tra le altre cose, nell’ultima settimana di marzo ci sarà la prima settimana della moda saudita. E questo appetito per moda e musica potrebbe spiegare perché due settimane fa il fondo pubblico di investimento saudita ha comprato con duecento milioni di dollari in contanti una quota dell’americana Penske Media Corp, che controlla Women’s Wear Daily, Variety e Rolling Stone, tre magazine molto forti in questi settori.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)