"L'80 per cento dei cristiani iracheni non c'è più". Numeri da genocidio
Dopo gli sfollamenti di massa, le fughe e le fosse comuni, adesso per chi resta serve ricostruire le terre martirizzate dai fondamentalisti islamici
Roma. Lunedì le chiese irachene hanno suonato a lutto dopo l’ennesima strage di cristiani avvenuta il 9 marzo. Il giovane cristiano Samer Salah Eddin e un’intera famiglia di tre persone sono stati trucidati a Baghdad. Erano assiri. Ha scritto il New York Times che “i cristiani assiri, il popolo indigeno dell’Iraq, gli eredi dell’antica civiltà mesopotamica e i primi convertiti al mondo al cristianesimo, sono a rischio di essere completamente sradicati dalla loro patria”.
Tutti i sacerdoti iracheni lunedì hanno indossato per l’occasione una fascia nera in segno di cordoglio nazionale. Il medico Hisham Shafiq al Maskuni, 61 anni, sua moglie e sua madre, sono stati accoltellati nella capitale. “Ciò significa che non c’è posto per i cristiani”, ha affermato padre Biyos Qasha della chiesa di Maryos a Baghdad. “Siamo visti come agnelli da uccidere in qualsiasi momento”. Il 2 marzo, le milizie sciite hanno rinvenuto una fossa comune con i corpi di quaranta cristiani nella piana di Ninive, la ex roccaforte dello Stato islamico dove molte famiglie cristiane sono tornate da quando il Califfato è stata sconfitto. I corpi, tra cui quelli di donne e bambini, appartengono a cristiani rapiti e uccisi dall’Isis e molti avevan con sè delle croci.
I cristiani di Qaraqosh rifugiati a Erbil (foto LaPresse)
Ieri un rapporto della Iraqi Human Rights Society ha rivelato che le minoranze irachene, come i cristiani, gli yazidi e gli Shabak, sono vittime di un “genocidio lento”, silenzioso, ma che sta spolpando quelle comunità antichissime fino a decretare la loro scomparsa. I numeri parlano chiaro.
Il rapporto rivela che l’81 per cento dei cristiani dell’Iraq non c’è già più. Ancora più grande la cifra dei Sabei, i Mandei devoti di San Giovanni Battista: il 94 per cento è scomparso. Vestono di bianco, simbolo di pace, e praticano l’immersione rituale, che rievoca in tal modo l’inondazione del mondo durante il diluvio universale. Anche il 18 per cento degli yazidi se ne è andato dall’Iraq o è morto.
Un’altra organizzazione per i diritti umani, Hammurabi, ha fatto sapere che settecento cristiani sono stati uccisi in Iraq per la loro identità. Baghdad aveva seicentomila cristiani, oggi sono centocinquantamila. Per questo Charles de Meyer, presidente di SOS Chrétiens d’Orient, ha appena denunciato l’“estinzione dei cristiani”.
Anche la popolazione armena è drammaticamente diminuita. L’ambasciata armena a Baghdad stima che circa tredicimila armeni vivano nel paese. Gli armeni giunsero in Iraq secoli fa, alcuni si stabilirono nel sud e hanno avuto diocesi a Bassora dal 1222. Il loro numero raggiunse i trentasettemila. Oggi ne resta appena un terzo. La campagna contro lo Stato islamico lanciata tardivamente da Obama e intensificata sotto Trump ha bonificato i territori iracheni dove vivevano i cristiani, ma quelle minoranze stanno beneficiando poco o nulla dagli aiuti umanitari e di stabilizzazione degli Stati Uniti e dell’Onu.
Alcune comunità, come le piccole enclave cristiane di Mosul, sono quasi certamente perse per sempre. Alcuni villaggi cristiani di Ninive hanno iniziato il doloroso processo di ricostruzione con fondi donati principalmente da alcune organizzazioni internazionali di soccorso come i Cavalieri di Colombo e Aiuto alla Chiesa che soffre, e il governo ungherese, e tenuto vivo con aiuti dalle diocesi cattoliche e ortodosse locali. Dopo gli sfollamenti di massa e le fosse comuni, adesso per chi resta serve ricostruire le terre martirizzate dai fondamentalisti islamici. Altrimenti verrà persa per sempre anche la più piccola speranza di sentire ancora il suono delle campane a Ur dei Caldei.