Trump, un presidente sculacciato
Il caso tabloidesco di Stormy Daniels passa al registro del legal drama. Il collasso del team di avvocati del presidente americano
New York. Donald Trump non ha fatto riferimento alle ultime rivelazioni televisive di Stormy Daniels, ma il tweet con cui ha inaugurato la giornata puntava chiaramente in quella direzione: “Così tante fake news. Non sono mai state tanto voluminose o imprecise. Ma nonostante tutto, il nostro paese va alla grande!”. L’avvocato della pornostar che mette sotto pressione Trump con una tambureggiante campagna di accuse sostiene che il presidente si guarda bene dal citare la sua assistita “perché sa che quello che lei ha detto è vero”, e dunque preferisce farsi capire senza dire apertamente. Rispetto ad altre controversie, sembra che Trump stia effettivamente architettando la sua difesa in modo più accorto: la sera prima dell’intervista di Daniels ha avuto un incontro a quattr’occhi con Michael Cohen, l’avvocato che è al centro del caso e che ha pagato, di tasca sua tramite una società con sede nel Delaware, i 130 mila dollari che avrebbero dovuto mettere a tacere l’ex attrice hard. In quella sede i due hanno ricentrato la strategia difensiva.
Nella sua intervista con Anderson Cooper, Daniels non ha fatto nuove rivelazioni clamorose, fatta eccezione per il minaccioso incontro con un presunto bravo di Trump in un parcheggio di Las Vegas, mentre era assieme alla figlia piccola, che le ha intimato di scordarsi del suo incontro con Trump nel 2006; ha ripetuto una sequenza di accuse nota, ma lo ha fatto in prima serata a “60 minutes”, un format serioso che ha avuto l’effetto di elevare il caso da torrida storia di sesso – consensuale, come dice lei – a ineludibile caso di corruzione e potere. Il protagonista di questa storia non è più l’animale da “locker room” che si vanta con Billy Bush di prendere le donne “by the pussy”, è l’inquietante uomo di potere che dà mandato ai suoi uomini di mettere a tacere i potenziali nemici con pagamenti apparentemente puliti e contratti di riservatezza vincolanti. Ora gli avvocati di Stormy dicono che l’accordo e la penale da un milione di dollari sono nulli, perché Trump non ha mai siglato il contratto, e lei si è presentata come una donna coraggiosa che a distanza di dodici anni vuole difendere il suo onore dopo un episodio in cui era stata praticamente costretta ad accettare le condizioni imposte da Trump.
A questa metamorfosi dell’immagine del caso Daniels va aggiunta una campagna coordinata di commentatori e analisti che individuano nella violazione delle leggi sui finanziamenti elettorali il vero reato da proseguire. I soldi pagati da Cohen, e che gli avvocati di Daniels giudicano riconducibili per tabulas alla Trump Organization, diventerebbero a questo punto spese sostenute per la campagna elettorale e mai formalmente dichiarate alla Federal Electoral Commission. Si tratta di sottili argomenti legulei che esulano dalla natura chiaramente tabloidesca del caso di Stormy, ma questa nuova piega è appunto un sintomo della trasformazione di una storia che s’adagia ora sul registro del legal drama. Sullo sfondo c’è, infatti, il collasso del team di avvocati di Trump. Il presidente è rimasto orfano di John Dowd, che lo ha mollato perché non ascoltava i suoi consigli, e due nuovi legali annunciati pochi giorni fa sono già stati scaricati.