Il premier israeliano Benjamin Netanyahu (foto LaPresse)

Ecco perché Netanyahu ha sospeso l'accordo sui migranti siglato con l'Onu

Enrico Cicchetti

L'accordo avrebbe consentito l'uscita da Israele di 16.250 africani verso paesi occidentali. Secondo Tel Aviv sarebbero state coinvolte anche la Germania e l'Italia, che però non ne sapevano niente

Israele ha annunciato ieri di aver raggiunto con l'Alto commissariato Onu per i rifugiati un accordo per il ricollocamento in diversi stati occidentali di circa la metà dei 35mila migranti africani che vivono illegalmente nel paese. L'accordo consentirebbe l'uscita da Israele di 16.250 persone verso paesi sviluppati come il Canada, la Germania e l'Italia, ha spiegato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. "È un buon accordo", ha detto Netanyahu ai giornalisti all'inizio della giornata. "Ci consente di risolvere questo problema in un modo efficace, protegge gli interessi dello stato di Israele e fornisce una soluzione ai residenti".

  

Poche ore dopo, però, Netanyahu ha fatto un passo indietro e annunciato di aver "sospeso l'accordo" in seguito alle proteste scoppiate nell'opinione pubblica e nella sua stessa maggioranza e alle perplessità avanzate dai paesi occidentali che, a detta del premier, si erano resi disponibili ad accogliere gli immigrati da Israele. "Ho deciso di sospendere l'attuazione di questo accordo e di ripensarne i termini", ha scritto Netanyahu in un messaggio postato nella notte sulla sua pagina Facebook. 

  

Diversi ministri hanno denunciato l'intesa e attivisti di destra, che fanno parte della sua base politica, hanno detto che il piano era troppo generoso per i richiedenti asilo ai quali sarebbe stato permesso di rimanere in Israele. Il ministro dell'Educazione, Naftali Bennett, ha avvertito con un tweet che il piano "trasformerà Israele in un paradiso per gli infiltrati". Ma ciò che ha fatto parlare alcuni media di "caso diplomatico" è il fatto che il ministero degli Esteri italiano e dell'Interno tedesco hanno dichiarato di non essere a conoscenza di un simile accordo. 

  

"L'Italia era solo un esempio di un paese occidentale: il primo ministro non intendeva in modo specifico l'Italia", ha spiegato una fonte vicina al primo ministro israeliano dopo la presa di posizione di Roma. Fonti del Viminale hanno spiegato all'Huffpost il dettaglio dell'operazione: "Tel Aviv ha raggiunto un accordo con l'Alto commissariato Onu. Sarà quest'ultimo a lanciare una call a tutti i paesi che vi vorranno aderire per quello che tecnicamente viene chiamato resettlement, una redistribuzione. Ma nessuno è obbligato a farsene carico". E a quanto risulta, l'Italia, che è già in prima linea per quanto riguarda le politiche di accoglienza, non lo farà.

   

   

Al contrario, funzionari canadesi hanno dichiarato di essere in contatto con Israele: Mathieu Genest, un portavoce del ministro per l'Immigrazione, ha spiegato che il suo governo sta esaminando oltre 1.800 richieste di reinsediamento nel paese nordamericano da parte di eritrei. L'Unhcr ha fatto sapere di aver firmato un quadro di intesa comune "per promuovere soluzioni per migliaia di eritrei e sudanesi che vivono in Israele".

    

Il tema degli immigrati africani irregolari sul territorio israeliano – una comunità concentrata soprattutto nei quartieri nel sud di Tel Aviv – divide la politica e l'opinione pubblica del paese da un decennio. L'Onu stima che oltre 60.000 persone siano entrate illegalmente in Israele attraverso il confine egiziano tra il 2005 e il 2012. Gran parte dei migranti che Israele minaccia di espellere provengono da Eritrea e Sudan, paesi che registrano numerose violazione dei diritti umani. Ma le autorità israeliane non li considerano rifugiati, piuttosto migranti economici. Dal 2015, Israele ha concesso asilo a solo quattro eritrei su 6.723 - un tasso di accettazione dello 0,06 per cento. Gli africani hanno iniziato ad arrivare nel 2005, dopo che il vicino Egitto ha violentemente represso una dimostrazione di rifugiati. Decine di migliaia di persone hanno allora attraversato il confine prima che Israele lo chiudesse con una barriera tra il 2012 e il 2013.

    

Intanto, per l'enorme presenza di migranti, i quartieri poveri nel sud di Tel Aviv sono diventati noti come "Little Africa" e i residenti ebrei della classe lavoratrice hanno iniziato a lamentarsi in maniera sempre più veemente per la criminalità crescente e a chiedere al governo di fare qualcosa. D'altro canto, i migranti hanno trovato sostegno in una fetta di opinione pubblica israeliana che considera che il paese abbia una responsabilità speciale nell'aiutare chi è nel bisogno. Nel corso degli anni, Israele ha cercato di persuadere i migranti a partire offrendo loro denaro e un biglietto di sola andata per l'Africa, verso paesi come il Ruanda e l'Uganda. Circa 22.000 migranti sono stati inviati in queste nazioni che però, in un secondo momento, hanno deciso di non accettare più i rifugiati. Falliti questi tentativi, il primo aprile scorso Tel Aviv ha annunciato il piano di ricollocamento. Secondo la dichiarazione resa pubblica lunedì dall'ufficio di Netanyahu prima della sospensione, "il piano è diviso in tre fasi che si svilupperanno in cinque anni". Israele si è impegnata a garantire uno statuto ufficiale ai 18.000 migranti che dovrebbero rimanere e che saranno ridistribuiti in tutto il paese. Il governo dovrebbe aiutarli ad acquisire la necessaria formazione in modo che possano trovare lavoro, anche grazie a un ufficio creato appositamente, guidato dal politico Avigdor Yitzhaki che sarà anche responsabile della riqualificazione del sud di Tel Aviv. 

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