Il '68 alla rovescia
Eugénie Bastié, giovane polemista francese di destra (scorrettissima) ci racconta isteria e paradossi del #metoo
Parigi. Dalle pagine del Figaro, della rivista Limite, da Twitter e dagli studi televisivi, Eugénie Bastié, polemista ed editorialista di destra, “fiera di esserlo”, non cessa di far parlare di sé. A 26 anni è una delle voci più interessanti della nouvelle vague di giornalisti e intellettuali schierati nel campo conservatore, spesso apostrofati dalla stampa di sinistra come “réac”. La incontriamo in un bistrot tra boulevard Hausmann e boulevard des Italiens, a pochi passi dalla redazione: si nota subito per gli occhi blu che si muovono in continuazione e le frasi rapidissime, incatenate una dietro l’altra, come avesse paura di non riuscire a finire quanto ha da dire. Le chiediamo a cosa è dovuto il grande spazio dato alle opinioni conservatrici, tanto presenti da aver spinto Raphaël Glucksmann a fondare una nuova rivista progressista, Le Nouveau Magazine Littéraire, per contrastare l’egemonia della destra: “Non abbiamo vinto alcuna battaglia culturale, semplicemente non c’è più un pensiero unico nel mondo culturale. Assistiamo al ritorno del pluralismo: per gran parte della sinistra il semplice fatto di non essere più il partito unanime segna un ritorno dell’egemonia della destra. Non c’è egemonia, semplicemente riequilibrio”, spiega.
Chiediamo come si posizioni una giovane conservatrice rispetto a Emmanuel Macron, soprattutto quando ormai appare chiaro, dopo un anno di mandato, che la sua politica è molto lontana dalla sinistra tradizionale: “Il macronismo è un rifiuto della politica, che è un confronto tra visioni del mondo antagoniste. Macron sostiene, al contrario, di essere al di sopra delle divisioni, di volere riforme efficaci: grazie! Chi può essere contro l’efficacia? Non è una visione del mondo, o almeno non è la mia”. Bastié è considerata un’icona del politicamente scorretto, grazie alle sue battaglie contro l’estremismo femminista e gli effetti perversi della campagna #MeToo e #Balancetonporc. Nel 2016 ha pubblicato “Adieu mademoiselle: la défaite des femmes”, per spiegare che ormai “il femminismo ha compiuto il lavoro che doveva compiere”, e a maggio prossimo uscirà “Le porc émissaire: Terreur ou contre-révolution”, un avvertimento contro l’arrivo di un puritanesimo estraneo alla cultura francese: “Dalla campagna #MeToo sembra che la Francia sia diventata l’Afghanistan, come se noi donne fossimo aggredite da un predatore a ogni angolo della strada o come se fossimo sfruttate in tutti i mestieri”, dice. “Ma questo è secondo me un effetto della ‘femminizzazione’ del mondo del giornalismo: sempre più donne fanno le giornaliste e quindi questa sensibilità è più presente. A me queste campagne sembrano soltanto una rivolta delle élite”.
“C’è una forma di resistenza”
La conversazione si sposta sul Sessantotto, è una strana coincidenza che quest’anno cadano i cinquant’anni dalla rivoluzione sessuale mentre l’occidente è impegnato a discutere di consenso, di maschilismo e di nuove rivendicazioni femministe: “Siamo al paradosso, è un Sessantotto rovesciato. Cinquant’anni fa lo slogan era fate quello che volete, andate a letto con chiunque, viva l’amore libero. Questo ha generato un cortocircuito nel desiderio: la norma è inversa, se non sei andata a letto con qualcuno a diciott’anni sei pudica, sei frigida, se una ragazza non fa sesso prima del matrimonio è giudicata male”. Questo, secondo Bastié, genera pressione, ed è una delle possibili spiegazioni ai tanti pentimenti postumi: “Se inconsciamente siamo convinte che dire di no sia ‘strano’, alla fine cediamo per poi renderci conto che forse non volevamo dire di sì. Ma, siccome non siamo più in grado di rifarci ai valori morali, cerchiamo soddisfazione nei tribunali, come se i rapporti uomo donna potessero essere risolti in quella sede”. Ma la Francia sta diventando puritana come gli Stati Uniti?: “Per fortuna c’è una forma di resistenza: in qualunque altro paese anglosassone i ministri Darmanin e Hulot, accusati di stupro senza, per ora, prove convincenti, sarebbero stati cacciati dal governo. Sono ancora al loro posto, vuol dire che la battaglia non è ancora persa”.