Push the Bolton. Tutte le vittime delle “pulizie” del falco di Trump
L’esperta moderata, la talpa populista, l’uomo d’apparato. Il consigliere per la Sicurezza nazionale sta costruendo un team rapace quanto lui. Le manovre dietro l’interventismo del presidente americano
New York. Nelle parole di Donald Trump i dettagli del prospettato attacco americano in Siria oscillano a seconda dell’umore (ieri ha twittato: “Non ho mai detto quando avverrà l’attacco. Potrebbe essere molto presto o nient’affatto presto!”), ma nelle manovre di palazzo la ricomposizione del team della Sicurezza nazionale in senso aggressivo procede spedito. Dietro la verve interventista c’è l’attivismo di John Bolton. Il consigliere per la Sicurezza nazionale sta mettendo in atto la grande purga promessa per ripulire la Casa Bianca dai funzionari troppo moderati imposti dal suo predecessore, il generale H. R. McMaster, dalle talpe che passano informazioni ai giornali, da quelli che non hanno dimostrato fedeltà sufficiente a Trump e dai funzionari di struttura rimasti dal tempo della ritirista Amministrazione Obama.
Never said when an attack on Syria would take place. Could be very soon or not so soon at all! In any event, the United States, under my Administration, has done a great job of ridding the region of ISIS. Where is our “Thank you America?”
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 12 aprile 2018
Quando ha accettato l’incarico, Bolton ha ottenuto di poter costruire una squadra a sua immagine e somiglianza, e nella prima settimana di lavoro ha iniziato le “pulizie” a ritmo sostenuto. L’ultima a essere cacciata è Nadia Schadlow, la numero due del Consiglio per la sicurezza nazionale con delega alla strategia, che è stata in carica per pochi mesi (aveva sostituito Dina Powell, goldmansachsiana e protetta di Gary Cohn) ma è stata l’autrice principale del National Security Strategy pubblicato a dicembre, un documento che articolava la dottrina “America First” di Trump in politica estera attraverso una serie di prescrizioni piuttosto convenzionali. Non si delineava alcuna virata rivoluzionaria rispetto alla politica estera americana tradizionale. Schadlow è una voce moderata con un curriculum al di sopra di ogni sospetto di politicizzazione, e si è occupata a lungo delle conseguenze degli interventi militari americani, sostenendo che l’inadeguatezza della preparazione politica e strategica è il motivo di molti fallimenti che si sono manifestati nella fase post intervento.
Questo tipo di impostazione è il contrario della filosofia di Bolton, da sempre concentrato sugli interventi militari e assai poco preoccupato della fase post bellica, della costruzione di istituzioni democratiche e dell’esportazione dei valori occidentali. Sono questi gli argomenti forti di chi ha spiegato che Bolton, nonostante la stretta affiliazione con l’Amministrazione di George W. Bush durante la guerra al terrore, non è un neoconservatore.
Le dimissioni di Schadlow, che ha detto di essere “felice di aiutare la transizione”, sono arrivate due giorni dopo la cacciata di Thomas Bossert, capo dei consiglieri del presidente per la Sicurezza nazionale, cacciato il giorno stesso in cui Bolton s’è insediato alla Casa Bianca. Difensore indefesso, in pubblico e in privato, delle manovre dell’Amministrazione in politica estera, Bossert non si aspettava di essere scaricato, o almeno non così in fretta. Due giorni prima delle defenestrazione faceva appassionate difese trumpiane in televisione e in eventi pubblici. Il consigliere per la Sicurezza non solo lo ha licenziato ma ha anche preso sotto il suo diretto comando alcune delle sue funzioni, secondo un modello di leadership ultracentralista che sta meditando di trasferire all’intero apparato della Sicurezza nazionale. Vuole innanzitutto accorpare il Consiglio per la sicurezza nazionale e l’Homeland Security Council (Hsc), corpi distinti ma comunicanti che Obama aveva provato senza successo a fondere. Unificarli significa per Bolton avere più controllo dell’apparato dal punto di vista ideologico ma anche della gestione delle informazioni, ché ha promesso al presidente di fermare i leak. La fonte più ciarliera, secondo Bolton, era il portavoce con ampia libertà di manovra Michael Anton, un protosostenitore del populismo trumpiano che ha dato segni di pentimento quando ha capito che una Casa Bianca siffatta era un luogo ingovernabile e senza direzione. Un funzionario della Casa Bianca ha sibilato che “Bolton riteneva Anton il maggiore leaker, uno di cui non ci si può fidare, uno stronzo”, e così è stato accompagnato alla porta. Il prossimo candidato a rassegnare improvvisamente le dimissioni è Ricky Waddell, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale che era stato portato da McMaster durante il suo rimpasto di leadership. Waddell aveva a sua volta sostituito K. T. McFarland, che era stata nominata da Michael Flynn e poi era crollata sotto il peso delle sue stesse gaffe, ennesimo avvicendamento nel consiglio a cui Bolton promette di dare un volto più organizzato e interventista.