Pavel Durov, il nerd che sfida Putin
Ha fondato VKontakte, il Facebook russo, e Telegram, baluardo della privacy a ogni costo. La competizione con Zuckerberg e lo scontro con il Cremlino. Con un occhio alla politica
A descriverlo è una serie di ossimori, di aggettivi che messi uno dietro l’altro stridono. Nerd, bello, liberal, un tempo taoista, ricco, giovane, astemio e russo. Per la precisione di San Pietroburgo, la città inospitale e malsana che iniziò a esistere solo per la testardaggine di uno zar, che nella leggenda si regge sugli scheletri di tutti coloro che sono morti nel tentativo di trasformare una palude in capitale, la città che strappò l’impero a Mosca, che ha ossessionato i più importanti autori russi e dato i natali a Vladimir Putin e a lui: Pavel Durov.
La missione principale era proteggere i contenuti e i dati degli utenti, dall’anarchia di VK alla segretezza di Telegram
Fondatore prima di VKontakte, definito in modo riduttivo il Facebook russo, e poi di Telegram, l’app di messaggistica istantanea che però nessuno ha osato paragonare a qualcosa di già esistente. Sempre vestito di nero, come Neo, il protagonista di “Matrix”, sobrio, non fuma e non mangia carne, Pavel, impropriamente come le sue creazioni, viene chiamato il Mark Zuckerberg russo, e se con il collega statunitense condivide l’anno di nascita, 1984, diversa è invece la storia. La sua non è solo una vita da romanzo, ma una vita da romanzo russo. Figlio di un professore universitario, con la famiglia si trasferisce a Torino dove vive fino ai primi anni del liceo e poi torna in Russia. Nel frattempo San Pietroburgo aveva smesso di chiamarsi Leningrado, al Cremlino stava arrivando un ex agente del Kgb e Pavel ancora non sapeva se all’università avrebbe studiato lingue o informatica. Intanto però si divertiva a usare i rudimenti del coding per minacciare un professore da lui odiato. Riuscì ad hackerare la rete dei computer della scuola e a cambiare il messaggio di benvenuto, su tutti gli schermi compariva la foto del docente con la scritta “Devi morire”. Il povero docente non morì, ma per quasi un anno la sua faccia continuò a rimbalzare sugli schermi dei computer. La scuola cercava di cambiare i codici di accesso e Pavel regolarmente riusciva a modificare i messaggi di benvenuto.
Sin dai tempi di questa precoce bravata, dietro di lui c’era il fratello. Nikolai, più grande di quattro anni, è il vero genio informatico della famiglia, un mentore per Pavel e il realizzatore di tutte le sue idee. Nel libro “The Durov code”, lo scrittore e giornalista Nikolai Kononov racconta di come Pavel, mentre frequentava l’università – alla fine decise di ricalcare le orme umanistiche del padre e iscriversi a filologia – iniziò a brevettare una piattaforma che permettesse agli studenti di comunicare all’interno del campus e di scambiarsi gli appunti, e fin qui nulla di nuovo, una storia simile si era già sentita due anni prima a Harvard. Nikolai ai tempi era a Bonn, in Germania, e al telefono dava istruzioni al fratello su come sviluppare e ampliare il progetto e quando capì che la piattaforma del campus si stava trasformando in qualcosa di più grande, tornò a San Pietroburgo. Era il 2006, VKontakte si sviluppa rapidamente e in un anno diventa un vero social network. L’eccezionalismo russo – i giovani preferivano il prodotto autoctono a quello americano – unito all’ossessione dei due fratelli di voler rendere la versione russa di Facebook più veloce e affidabile, ne hanno determinato lo sviluppo incredibilmente rapido. Ma non si poteva essere in due per mandare avanti una compagnia così promettente e i fratelli Durov iniziarono a cercare dipendenti maschi, russi e giovani. “Fumi, bevi alcolici, frequenti i party?”, era la domanda con cui si apriva il colloquio. “No, no, no”, dovevano essere le risposte, solo a quel punto la conversazione poteva proseguire, con domande di natura più tecnica. I fratelli cercavano la quintessenza del nerdismo russo. Misero su una squadra ambiziosa ma sparuta e in un appartamento dell’edificio Singer sulla prospettiva Nevski e iniziarono a realizzare il loro sogno, a suo modo patriottico.
Durov brevettò una piattaforma per comunicare nel campus e fin qui nulla di nuovo, una storia simile si era già sentita ad Harvard
Gli utenti aumentavano, i soldi crescevano, Pavel ideava la strategia e Nikolai i codici. VKontakte iniziava a trasformarsi, non era più il rivale del social americano, ma stava diventando la sperimentazione della condivisione portata alle estreme conseguenze. “Era come se VK dovesse iniziare a rappresentare il tutto, dovesse essere nutrimento per l’animo umano e dell’animo umano dovesse ospitare ogni manifestazione”, racconta al Foglio una fonte vicina a VKontakte, che chiede di non essere identificata per ragioni che capirete tra poco. Nella piattaforma gli utenti dovevano trovare qualsiasi cosa: film, musica, videogiochi, tutto disponibile e gratuito e tutti dovevano potersi esprimere senza vincoli. “L’idea era l’anarchia fatta social, un coacervo di istinti, bisogni, pulsioni, opinioni. Facebook già esisteva, non aveva senso riproporre qualcosa di simile, la versione russa di un esperimento già fatto da altri doveva essere sbalorditiva”. Tutto libero, tutto condivisibile. “La piattaforma riuscì ad avere un successo così esplosivo anche grazie all’assenza in Russia di leggi che regolassero internet”. Come volevano Pavel e Nikolai, la piattaforma si riempì di film e musica, animava anche il dibattito culturale, “Era YouTube, Facebook e Spotify condensati dentro un solo network”.
Il Cremlino osservava questo fenomeno a distanza, secondo alcune fonti Pavel si incontrava spesso con Vladislav Surkov, ex consigliere di Putin e ideologo del partito Russia Unita, il governo non sembrava avere intenzione di disturbare gli interessi dei Durov. Chiunque poteva usare VKontakte per scrivere qualunque cosa. Chiunque incluso Alexei Navalny, l’avvocato e blogger oppositore di Putin, chiunque inclusi i manifestanti che protestavano contro i brogli elettorali. Chiunque per i Durov significava chiunque e nel vasto insieme della sua relatività, il pronome includeva anche tutti quelli che non piacevano al Cremlino.
VKontakte animava anche il dibattito culturale, era YouTube, Facebook e Spotify condensati dentro un solo network
Per fronteggiare le proteste che nel 2011 si diffondono per tutta la Russia, l’Fsb, i servizi segreti russi, chiede a VKontakte di bloccare le pagine di sette gruppi che venivano utilizzate per organizzare le manifestazioni, ma da parte dei due fratelli arriva il primo no alle autorità. Una mattina Pavel si risveglia con l’Fsb fuori dalla porta, vuole imporgli la chiusura delle pagine e lui manda al Cremlino il secondo no, quello più famoso: twitta la foto di un cane che fa la linguaccia. Per un po’ il governo lo lascia in pace, VKontakte cresce, la società si arricchisce. “Chi ci lavorava lo faceva perché era un’esperienza esaltante, la squadra iniziava a essere piena di soldi, Pavel ogni tanto distribuiva denaro”, racconta la fonte. Una volta, nel 2013, l’imprenditore arrivò nell’appartamento dell’edificio Singer con un bonus per uno dei dipendenti che gli rispose: “Io non lavoro per i soldi, ma per l’idea”. Pavel propose allora di buttare i soldi dalla finestra, “Facciamolo in maniera creativa però”, disse e iniziò a fare con le banconote degli aeroplanini. Aprirono la finestra e lanciarono i biglietti per strada. Ci volle un po’ prima che la gente si accorgesse che fossero soldi veri, poi iniziò ad azzuffarsi e la squadra di VKontakte mise fine al teatrino. “Telegram ancora non esisteva, ma in quegli aeroplanini c’era già l’idea”.
Nel 2012, Durov viene accusato dalle autorità di aver investito un agente della polizia in un incidente stradale. E’ la prima mossa del Cremlino per iniziare a minare la posizione del giovane imprenditore. Di lì a poco, Durov perderà il controllo della sua creatura. “VKontakte è scivolato nelle mani del governo, è stato tutto silenzioso e rapido”, racconta la nostra fonte. Dalla polizia le indagini passarono ai servizi segreti e due dei maggiori azionisti della società vendettero la loro quota, il 48 per cento, alla United capital partners, un fondo vicino al Cremlino. Nikolai non possedeva più nulla dell’azienda già da tempo, al fratello era rimasto il 12 per cento. Pavel decise di vendere le sue quote, pur rimanendo amministratore delegato, infine fu licenziato dall’azienda da lui fondata e con la sua ormai nota irriverenza social salutò VK via Instagram con un dito medio. E’ la fine del 2014. Ancora oggi, però, è iscritto a VKontakte.
E’ l’arrivo dell’altra grande intuizione a spiegare perché tutto è avvenuto senza amarezza. Mentre dicevano addio alla loro prima creazione, i Durov stavano già sperimentando una seconda rivoluzione, un’app di messaggistica istantanea, sicura e impenetrabile: Telegram, il cui simbolo è un aeroplanino. Nel frattempo avevano lasciato la Russia e avevano comprato la cittadinanza delle Isole Saint Kitts e Nevis, in America centrale, facendo una donazione di 250 mila dollari. L’ossessione non era più la condivisione libera e selvaggia di ogni contenuto, ora per i Durov il nodo fondamentale destinato a rendere unica la nuova app doveva essere la sicurezza delle comunicazioni, la privacy a ogni costo. Che si trattasse di conversazioni tra amanti o tra terroristi, per Nikolai e Pavel la missione era proteggere i contenuti degli utenti – dall’anarchia di VK alla segretezza di Telegram, dalla condivisione alla riservatezza. La fondazione della nuova società è meno romantica. I due sono ormai esperti, Pavel su tutti i social, Tinder incluso, è una star. Sanno già che la nuova creazione sarà qualcosa di eccezionale, mettono su una squadra di dodici ingegneri, stabiliscono la sede legale a Berlino mentre quella fiscale è nomade, si sposta con lo staff, Pavel invece, dopo un periodo in Finlandia e alcuni mesi in Indonesia, si è stanziato a Dubai. Più ambizioni e forse meno patriottismo. VK era una creatura russa, Telegram è globale, utilizzata dall’Isis, dai progressisti in Iran, dagli ufficiali del governo di Mosca e da milioni di occidentali. Ha superato i duecento milioni di utenti e si appresta a raccogliere quasi due miliardi di dollari nella Ico (Initial coin offering) più grande di sempre con la sua criptovaluta, Gram, e un sistema blockchain proprietario (Ton, Telegram open network).
Secondo alcune fonti Pavel si incontrava spesso con Vladislav Surkov, ex consigliere di Putin e ideologo del partito Russia Unita
Quando Telegram fu lanciato, nel 2013, l’opinione pubblica era assorbita dalle rivelazioni di Edward Snowden. Il whistleblower della Nsa è una figura centrale per Pavel Durov che lo ha eletto a “eroe personale”. Di contro, Snowden ha definito Telegram “non sicura” per i dati. Dal 2013 a oggi si è scoperto che la privacy è un bene prezioso e i Durov e Zuckerberg lo avevano capito. Un’intuizione lungimirante, non priva però di complicazioni. Se VKontakte si era scontrata soltanto con il Cremlino, Telegram deve pararsi dalle minacce e dalle accuse di dittatori, segretari di partito e primi ministri. E’ stata già bloccata in Cina, mentre l’Iran, il paese che fornisce da solo all’app 40 milioni di utenti, ha annunciato che “per ragioni di sicurezza” la bloccherà, in particolare dopo le manifestazioni di piazza contro il regime che sono state incitate e organizzate via chat. Molti governi europei invece accusano Telegram di non fare abbastanza per impedire le comunicazioni dei terroristi. Infine il Cremlino.
Mosca vorrebbe obbligare Durov a cedere i dati degli utenti e ha inventato norme ad hoc per farlo, aggiungendo dei commi alla legge antiterrorismo. La Roskomnadzor, l’organo che controlla le comunicazioni in Russia, ha già dato un ultimatum alla società che ha risposto con il suo solito no. Se il 1984 è l’anno di nascita che unisce Pavel Durov e Mark Zuckerberg, il 2018 è quello in cui il primo dà una piccola lezione al secondo. E mentre Zuckerberg viene accusato di aver lasciato che Cambridge Analityca accumulasse i dati dei suoi utenti, Durov viene minacciato dal governo per la strenua difesa della privacy dei suoi utenti. Mentre Mark si difende davanti al Congresso, Pavel viene accusato dalla Duma. A dodici anni di distanza, il giovane pietroburghese ha avuto la vittoria che cercava nell’appartamento dell’edificio Singer sulla prospettiva Nevsky: voleva rendere VKontakte più importante di Facebook, non c’è riuscito, ma con Telegram in questi mesi sta avendo la sua rivincita. Ma forse Mark nemmeno se ne accorgerà.
Oggi il Tribunale di Mosca deciderà se bloccare l’app di messaggistica in Russia. Intanto Durov prepara la sua seconda battaglia, quella contro il concittadino Vladimir Putin, quell’agente del Kgb che mentre Pavel tornava dall’Italia si preparava già per il Cremlino, l’uomo che aveva capito l’importanza di VKontakte ed è riuscito a strapparla via al suo fondatore. Per ora la sfida è sui social, dove Durov lancia alcune provocazioni al presidente russo sfidandolo a colpi di foto a torso nudo accompagnati dall’hashtag #PutinShirtlessChallenge e di moniti europeisti. Il giovane imprenditore ha già scritto il suo manifesto politico che è apparso sulla rivista Afisha magazine. Pavel ai russi piace, i giovani lo conoscono e i grandi lo apprezzano, è un ragazzo che è diventato ricco creando dal nulla le sue società che hanno avuto fortuna. Soprattutto, è un russo che ha dimostrato la competitività delle sue creazioni in giro per il mondo. Chissà che tra sei anni, quando si terranno le prossime elezioni, non deciderà davvero di presentarsi come alternativa a Vladimir Putin.
Se la storia di Pavel, grande appassionato di “Matrix”, avrà un futuro coerente rispetto alla sua durezza nei confronti del potere e ai suoi ripetuti no, allora la risposta ai numerosi ultimatum che gli vengono posti o imposti somiglierà a quella di Neo, il protagonista del film del 1997 interpretato da Keanu Reeves. Quando l’agente Smith, il cattivo del film, simbolo dell’oppressione e del sistema, propone a Neo di allearsi con lui, “tutto quello che ti chiediamo in cambio è la tua cooperazione, e aiutarci a consegnare alla giustizia un terrorista”. Neo allora risponde: “Bene, sembra un ottimo affare, ma ne ho uno migliore per voi, che ne dite di questo?”, e mostra il dito medio. Durov se lo sarà ricordato quando, su Instagram, fece la stessa mossa contro il Cremlino.
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