In Russia è morto un giornalista
Maksim Borodin scriveva per il quotidiano Novij den e indagava sulle truppe mercenarie che combattono in Siria. Secondo la polizia si tratterebbe di un suicidio, secondo gli amici è stato ucciso
“Maksim Borodin si è suicidato”, hanno detto le autorità. Si è buttato dal balcone del suo appartamento a Ekaterinburg, città degli Urali fu venne fucilato l’ultimo zar, ed è morto dopo tre giorni per le lesioni riportate durante la caduta. Nessun segno di effrazione, la porta dell’appartamento era chiusa dall’interno, nessuna nota, nessun biglietto di saluto o di spiegazioni. Una morte silenziosa, accidentale, rigorosamente senza un colpevole.
Borodin era un giornalista, aveva trentadue anni e lavorava per il quotidiano locale Novij den. Seguiva i fatti legati al Cremlino, scriveva di corruzione, aveva fatto inchieste su Oleg Deripaska, l’oligarca e magnate dell’alluminio sotto sanzioni, sulla chiesa ortodossa e poi sui mercenari russi morti a Deir Ezzor. A febbraio, gli Stati Uniti avevano bombardato alcune milizie assadiste che stavano per attaccare una base delle Forze armate democratiche siriane. Il Pentagono aveva dichiarato che nel raid erano morte circa 100 persone, alcune di nazionalità russa. Non si trattava di soldati dell’esercito regolare, ma di mercenari della compagnia Wagner, composta da volontari, veterani o nazionalisti, partiti per la Siria per continuare a tutelare gli interessi di Mosca. La notizia della morte di cittadini russi in Siria, quando Vladimir Putin a fine 2017 aveva ordinato il ritiro di gran parte dell’esercito impegnato in medio oriente, risultava scomoda per il governo. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov però non aveva potuto far altro che confermare, le prove erano troppe, ma smentì ogni legame tra i mercenari e il Cremlino. Secondo la versione ufficiale, ripresa dalle agenzie e dai media governativi, si trattava di esaltati, veterani ai quali mancava la guerra, ubriaconi o pazzi con sete di violenza, e l’unica colpa di Mosca era quella di non riuscire a controllare e fermare queste persone.
Ma forse le cose non stavano proprio così. Forse la verità è che Putin non aveva alcuna intenzione di lasciare Damasco perché molti oligarchi vicini al Cremlino hanno già troppi interessi in Siria, forse la verità è che il presidente ha mentito ai russi per fini elettorali e la Wagner è un esercito ombra, la morte di un soldato non può essere taciuta alla popolazione, quella di un mercenario sì. I morti di Deir Ezzor erano un buon compromesso per continuare la guerra e tranquillizzare la popolazione che non ama i conflitti in medio oriente. Maksim Borodin cercava questo, voleva le prove e da mesi lavorava a un’inchiesta al fine di dimostrare i legami tra il Cremlino e i mercenari in Siria.
La polizia è convinta: il giornalista si è ucciso, probabilmente era sotto l’effetto di qualche droga. Non la pensano così i colleghi di lavoro, in primis la direttrice di Novij den, Polina Rumjantseva, che non crede alla versione del suicidio, ma poche ore dopo la prima dichiarazione rettifica: “Forse si è sporto troppo mentre fumava una sigaretta, credo sia stato un terribile incidente”. E poi l’amico Vyacheslav Bashkov, che ha raccontato in un lungo post su Facebook una delle ultime notti del giornalista. Borodin lo avrebbe chiamato alle cinque del mattino dell’11 aprile per dirgli che sul suo balcone c’era un uomo e sul pianerottolo davanti alla sua porta ce ne erano altri con il volto coperto e in mimetica. “La sua voce era tranquilla, non era ubriaco”, scrive Bashkov. Il giornalista era convinto che si trattasse di poliziotti in attesa del permesso di un giudice per fare irruzione nel suo appartamento e aveva contattato l’amico per chiedergli di aiutarlo a trovare un avvocato. Un’ora più tardi, Borodin dice a Bashkov di essersi sbagliato: “Forse era solo un’esercitazione”. Due giorni dopo Maksim Borodin si suicida.
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