Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Macron incassa e mena: “Non cederemo alla tirannia delle minoranze"

Mauro Zanon

Dal fisco al lavoro e all'università. Il presidente francese intervistato per quasi tre ore parla delle proteste che stanno bloccando il paese. E difende la scelta di bombardare la Siria 

Parigi. Non è stato facile resistere per quasi tre ore al fuoco incrociato dei due gendarmi del giornalismo francese, Edwy Plenel, direttore del giornale di inchieste online Mediapart, bestia nera dei politici, con grandi agganci nella magistratura, e Jean-Jacques Bourdin, severo intervistatore, con modi da inquisitore, che officia ogni mattina sul canale all-news Bfm.tv. Ma nel complesso, il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, se l’è cavata piuttosto bene davanti ai sei milioni e mezzo di spettatori che ieri sera sono rimasti incollati allo schermo per assistere alla sua seconda offensiva mediatica dopo l’intervista di giovedì, al telegiornale delle 13 di Tf1, dinanzi all’anchorman Jean-Pierre Pernaut.

 

Nonostante gli scambi ruvidi con i due giornalisti, che non l’hanno mai chiamato “Monsieur Le Président” (per “egualitarismo”, si sono giustificati Plenel e Bourdin dinanzi alle molte critiche piovute nei loro confronti), Macron è apparso sicuro e determinato nella difesa delle sue scelte politiche, “droit dans ses bottes”, come hanno scritto oggi diversi editorialisti parigini, in riferimento alla celebre formula che Alain Juppé, ex primo ministro, utilizzò nel 1995 quando dovette far fronte alla rabbia sociale per la riforma delle pensioni.

 

 

Di certo Macron spera di non fare la stessa fine di Juppé, che dovette battere in ritirata dinanzi alla vastità delle proteste che paralizzarono il paese, ipotesi che comunque appare assai remota al momento. “Il mio obiettivo è quello di riconciliare il paese. Ma non verrà raggiunto con l’inazione, cedendo alla tirannia di alcune minoranze”, ha dichiarato ieri Macron, a pochi giorni dal primo anniversario della sua elezione all’Eliseo. Sullo sfondo il malcontento dei ferrovieri della Sncf per la riforma del loro statuto, dei pensionati per l’aumento della Csg (il contributo che finanzia la previdenza sociale), degli studenti per le modifiche delle regole di accesso all’università e degli infermieri per l’imminente riorganizzazione degli ospedali e dei loro finanziamenti.

 

Macron ha affermato di voler “accompagnare i francesi nella realizzazione di riforme strutturali profonde” proprie alla “società di trasformazione” globale che promuove fin da quando era ministro dell’Economia, tanto nel settore privato quanto nel settore pubblico. “Sono un presidente che ascolta le rabbie del paese”, ha detto, difendendo punto per punto il bilancio di questo primo anno di mandato. Ha rivendicato i “gesti fiscali” a favore delle classi agiate, con la riforma dell’Isf (la patrimoniale francese), assieme alla flat tax al 30 per cento sui redditi da capitale, necessarie per far ripartire gli investimenti, e annunciato che in questo quinquennio non ci sarà “nessuna nuova tassa, né locale, né nazionale” per compensare la soppressione progressiva della “taxe d’habitation” (l’Imu francese).

 

“Le mie priorità di riduzione fiscale sono per le classi medie e per i vulnerabili della nazione”, ha sostenuto Macron. L’impegno di non aumentare la pressione fiscale, già sufficientemente asfissiante per la maggior parte dei francesi, è sicuramente un punto a favore dell’inquilino dell’Eliseo, ma allo stesso tempo rappresenta un rischio importante, dato che mancano ancora quattro anni alla fine del mandato. Lui stesso, ieri, definendo la riforma delle ferrovie francesi “indispensabile”, ha annunciato che lo Stato, “progressivamente”, si farà carico “a partire dal 1° gennaio 2020” di una parte del debito della Sncf, promettendo allo stesso tempo di “investire in maniera massiccia” nella sanità, senza tagli supplementari: spese che dovranno essere compensate, in un modo o nell’altro, da cure dimagranti in altri settori.

 

Sulla battaglia per l’uguaglianza tra uomini e donne e contro la violenza ai danni di queste ultime, Macron ha affermato averle poste come priorità del suo mandato ben prima che si scatenasse il movimento #metoo, ricordando l’equilibrio di genere nel suo governo e all’interno della République en marche (Lrem). Sui manifestanti di Notre-Dame-des-Landes, i cosiddetti “zadisti” che continuano ad occupare illegalmente il terreno dove doveva sorgere l’aeroporto (il progetto è stato abbandonato dal governo), Macron ha ribadito con fermezza il rispetto dell’“ordine repubblicano”, aggiungendo che “tutto ciò che dovrà essere evacuato lo sarà”. Per gli studenti che occupano gli atenei, ha riutilizzato la formula di Michel Audiard: “Sono dei professionisti del disordine”. Sul velo, invece, ha detto che è contrario al principio repubblicano di uguaglianza tra donne e uomini, e che deve essere una scelta volontaria, non un’imposizione.

 

Punzecchiato da Plenel sul fatto che soltanto un quinto dei francesi ha votato per lui al primo turno delle presidenziali, Macron ha rivendicato la sua “legittimità democratica”, precisando che due mesi dopo, durante le elezioni legislative, è una ben più vasta maggioranza di francesi che ha votato il suo progetto di riforme. Il tema più delicato evocato ieri sera è stato però il conflitto siriano, con cui Macron ha iniziato la sua intervista. “La Russia è stata complice nell’uso delle armi chimiche in Siria. L’operazione è riuscita sul piano militare, i missili hanno raggiunto gli obiettivi, è stata distrutta la loro capacità di produrre armi chimiche. E non c’è stata nessuna vittima”, ha dichiarato il presidente francese a proposito dei bombardamenti di tre giorni fa, prima di aggiungere: “La decisione di intervenire è stata presa domenica scorsa (8 aprile, ndr), 48 ore dopo le prime identificazioni dell’uso di armi chimiche nella Ghouta orientale. Abbiamo colpito tre siti di produzione e trattamento di armi chimiche: un sito è stato colpito da noi con gli americani e i britannici, il secondo soltanto dagli americani, il terzo solo dai francesi”.

 

Macron ha in seguito affermato di aver convinto il presidente americano Donald Trump, che aveva espresso il desiderio di ritirare le truppe americane dalla Siria, a “rimanere a lungo”. “Dieci giorni fa, il presidente Trump ha detto che gli Stati Uniti hanno intenzione di disimpegnarsi in Siria. Ma lo abbiamo convinto che fosse necessario rimanere lì”. Nel giro di poche ore, tuttavia, è arrivata la smentita secca della portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders: “No, la missione americana non è cambiata: il presidente è stato chiaro sul fatto che vuole un ritorno a casa delle forze americane schierate in quel paese il prima possibile. Siamo determinati a distruggere completamente l’Isis e a creare le condizioni che impediranno il suo ritorno. Inoltre ci aspettiamo che i nostri alleati e partner regionali si assumano maggiori responsabilità sia dal punto di vista militare che finanziario per mettere in sicurezza la regione”. Tralasciando le scintille con Trump, per il presidente di Lrem, Christophe Castaner, Macron ha dimostrato di “saper incassare” ma anche di saper “picchiare” in un dibattito che è stato “virile, fisico”. La gauche, dal Partito socialista alla France insoumise, ha salutato positivamente l’“esercizio democratico” cui si è prestato Macron, pur condannando i contenuti delle sue risposte. Les Républicains, la destra gollista, ha puntato il dito contro un presidente “sconnesso dalla realtà”. I centristi del Modem, alleati di Lrem all’Assemblea nazionale, hanno invece elogiato la “calma e la pedagogia” con cui Macron ha risposto ai due giornalisti, che a tratti hanno trasformato l’intervista in un vero e proprio incontro di pugilato verbale.