Una serata londinese a parlare di Russia per sentire da vicino che freddo fa
Il problema è che ora al paese piace Putin e se non si capisce questo non si può neanche iniziare un dialogo. All’incontro (animato) dello Spectator
Londra. “Guardi che i gangster non vogliono figli gangster, vogliono figli odontoiatri. Per questo sono ottimista sul futuro”. Gli altri ci pensano un attimo e annuiscono, per la prima volta i partecipanti al dibatitto “Cosa vuole la Russia?” organizzato dal magazine Spectator sembrano quasi d’accordo, e sì che per un’ora e un mezza di vedute comuni se ne sono trovate poche tra il fronte russo – Xenia Sobchak, 1,7 per cento di voti alle ultime elezioni e una fila di persone a chiederle l’autografo, Aleksander Nekrassov, ex consulente del Cremlino, e Vladimir Pozner, giornalista – e quello britannico, con l’ex ambasciatore a Mosca Roderic Lyne e il professor Mark Galeotti, il teorico dell’odontoiatria come sol dell’avvenire. Davanti a una sala gremita di pubblico molto pagante, il veteranissimo Andrew Neil – “Non siamo mica a Russia Today!”, urla alla Sobchak mentre lei si espande nei suoi verbosi tour de charme – cerca di ritagliare all’interno di un tema fin troppo vasto un filo rosso che permetta di ricucire almeno un po’ il divario politico e culturale che sta dilaniando Londra dopo Salisbury e il blitz militare in Siria.
L’atmosfera è incandescente, i russi si sentono incompresi, c'è anche qualche rissa tra signore, “stai zitta tu!”, dice una putiniana a un’antiputiniana che borbotta in terza fila, i più giovani si dicono increduli per tutta l’ostilità che stanno trovando in giro. Le manie di grandezza di un paese che si sente superpotenza ma ha l’economia del Texas, più piccola di quella italiana, le spiega bene Owen Matthews, l’uomo dello Spectator a Mosca, armato di un paio di grafici: il paese è più povero che nel 1991, il petrolio durerà ancora 45 anni, le piccole e medie imprese sono uccise dalla burocrazia e l’unica cosa che cresce a dismisura è la spesa militare. Ah, e la corruzione, pari a un terzo del prodotto interno lordo. “Si sente Sparta sotto assedio”, osserva Owen, scatenando subito la risposta degli oratori russi. “Non c’è correlazione tra i dati economici e l’esperienza della gente”, dice Pozner. Voi pensate sempre che le cose in Russia potrebbero andare meglio, ma i russi pensano che potrebbero andare peggio, e si schierano compatti dietro il loro leader, soprattutto dopo che con la crisi ucraina “la gente ha perso fiducia nell’occidente”, spiega il polemicissimo Nekrassov, che attacca la propaganda dei media del West, “demonizzatori” quando dicono, come The Day, quotidiano per le scuole, che Putin è il leader più pericoloso dopo Hitler e vuole avvelenare l’occidente. “Una vergogna”, e giù fragorosi applausi dalla sala.
“Gli ambasciatori britannici in Russia odiano la Russia, noi abbiamo più etica”, prosegue Nekrassov, mentre la Sobchak si rifiuta di dire se i media russi siano più “monolitici” di quelli occidentali, proprio lei che dovrebbe essere all'opposizione (smentisce di aver preso soldi da Putin, accusa che le è stata mossa da Aleksandr Navalny, “uno che avrebbe preso al massimo il 10 per cento, cosa che i media occidentali non dicono mai”). E il futuro, la successione dello zar? “L’Unione sovietica è crollata in maniera pacifica, a differenza della Jugoslavia, e anche la successione di Putin lo sarà, il resto sono miti destabilizzanti e pericolosi”, dice Nekrassov. “Ora sono al potere i 60-70enni nati in Urss, quando arriveranno i 40-50 sarà già un po’ diverso”, osserva l’ambasciatore Lyne. “La Russia è governata dai sovietici”, gli fa eco Pozner, “ma le cose miglioreranno senz’altro. Negli anni Novanta ci poteva essere un vero cambiamento, ma per chi ha visto solo un paio di scarpe in vita sua, quelle sono le migliori scarpe del mondo”. Il problema è che ora al paese piace Putin e se non si capisce questo non si può neanche iniziare un dialogo, neppure tra intellettuali e esperti, mi spiegano due giovani stangone appese a ogni parola che viene pronunciata sul palco. Ci mancherà quando sarà andato via? “Forse sì”, ammettono. La Siria viene tirata in ballo all’ultimo, “ma perché uno non può sostenere Assad?”, si chiede Pozner: “La Siria è più vicina alla Russia che al Regno Unito ed è nella zona di influenza russa”. Non hanno diritto forse a una politica estera? “Loro vogliono il potere, una zona di influenza e farsi riconoscere come superpotenza nonostante l’economia a pezzi”, prosegue l’ambasciatore Lyne. E questo è quello che vuole Putin, ma i russi che vogliono? “I russi vogliono la stessa cosa di tutti gli altri, mangiare e prosperare, nessuno vuole una situazione in cui li si guarda come gente non normale”, dice Pozner. Le luci si accendono, Neil saluta i panelist, Sobchak inventa dediche affettuose ai suoi fan, e alla fine, un po’ scoraggiati dal dialogo impossibile, si esce canticchiando Sting e la sua “Russians love their children too”. Di più, al momento, non si può fare.
L'editoriale dell'elefantino