Le grandi fake news sulle sanzioni russe
L’unica idea di politica estera sentita in campagna elettorale è “togliere le sanzioni” contro Mosca. Ma l’export italiano verso la Russia cresce a ritmi eccezionali e i danni maggiori erano venuti dalla svalutazione del rublo
Durante la campagna elettorale in Italia i partiti hanno parlato poco di politica estera, ma una proposta era molto chiara: in caso di vittoria la Lega di Matteo Salvini e i Cinque stelle avrebbero revocato le sanzioni economiche contro la Russia. Secondo Salvini le sanzioni “sono assurde e stanno creando un danno incalcolabile all’economia italiana” (dichiarazione del 2 aprile) e secondo il Movimento 5 stelle è necessario “il ritiro immediato delle sanzioni alla Russia che stanno togliendo cinque miliardi a piccole e medie imprese”, o meglio questa era la versione molto intransigente del 2017 che però nel 2018, dopo il noto ammorbidimento della linea politica, è diventata: “C’è il desiderio di discuterle, vedremo a cosa porterà questa decisione a livello europeo. Ma abbiamo detto, anche quando ero negli Stati Uniti al dipartimento di Stato, che sono uno strumento, se non funziona va cambiato o usato di meno”, come ha dichiarato Luigi Di Maio il 13 marzo. Le cifre ballano: secondo Coldiretti (13 aprile) le sanzioni alla Russia ci costano tre miliardi l’anno, secondo il vicesegretario della Lega Lorenzo Fontana ci costano un miliardo l’anno (17 aprile).
Prima di tutto occorre fare un po’ di chiarezza. Le sanzioni economiche dell’Unione europea contro la Russia furono decise come reazione alla crisi in Ucraina e all’occupazione della Crimea nel 2014 e riguardano un campo molto selezionato di esportazioni, la tecnologia militare e la tecnologia per l’estrazione petrolifera in mare o dai giacimenti scistosi – questa seconda è una tecnologia che in questi anni non è stata molto richiesta a causa del basso prezzo del greggio. Le sanzioni europee che hanno fatto infuriare il governo russo sono invece quelle personali contro 150 tra oligarchi e altre figure vicine al presidente Vladimir Putin. L’Unione europea non ha mai deciso di fermare, per fare un esempio, l’export di Parmigiano reggiano dall’Italia verso la Russia. Se oggi quell’export è vietato è a causa delle controsanzioni russe, che sono state decise da Mosca e che qui da noi ci siamo ormai abituati a chiamare “le sanzioni”. Colpiscono il comparto dell’alimentare fresco, quindi la carne, il pesce, la frutta, le verdure e i latticini. Fonti diplomatiche fanno notare al Foglio che in fondo i russi si sono trattenuti, perché se avessero voluto reagire davvero con durezza avrebbero colpito il vino e la pasta, che invece non sono sulla lista delle controsanzioni (e vanno fortissimo: nei primi sette mesi del 2017 c’è stato un incremento dell’export di vino e pasta verso la Russia del 28,2 per cento, secondo i dati Ice).
Che effetto hanno quelle controsanzioni russe sull’economia italiana? Sentite cosa dice Sputnik Italia, organo ufficiale del governo russo in lingua italiana, in un pezzo di fine febbraio: “Ebbene sì, in un contesto di tensione sull’arena politica internazionale, fra Italia e Russia si rafforzano gli scambi commerciali, a dirlo sono i numeri: cresce del 19,3 per cento l’export italiano rispetto all’anno precedente. Tali risultati si avvicinano sempre più al livello del periodo d’oro pre-sanzioni”. Siamo andati a verificare i dati e combaciano con quelli dell’ufficio Ice di Mosca, l’agenzia italiana che si occupa di promuovere il lavoro delle aziende italiane all’estero: tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018 c’è stato un aumento di esportazioni italiane verso la Russia del 18,1 per cento e tra il gennaio 2016 e il gennaio 2017 c’era stato un aumento ancora più grande, del 25,5 per cento. In breve: se si considera il mercato generale, non settore per settore, l’effetto inibitorio delle controsanzioni russe – se mai c’è stato – sta svanendo e stiamo tornando ai livelli molto buoni di prima della crisi del 2014. Perché allora le proteste italiane?
Sono legate al settore agroalimentare, che però era soltanto una parte dell’export italiano verso la Russia e valeva circa il dieci per cento. Tuttavia, secondo i dati della stessa Coldiretti, nei primi mesi 2017 c’è stato il record storico nelle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani nel mondo, con un aumento del 10 per cento, quindi è difficile parlare di un settore messo in crisi dalle controsanzioni russe. Inoltre quasi i due terzi dell’aumento di export agroalimentare arrivano dal mercato dell’Unione europea. Insomma, siamo stati obbligati dalla politica comune europea a imporre sanzioni contro la Russia e la Russia ha risposto con controsanzioni contro il nostro settore agroalimentare ma in generale l’andamento del settore è molto positivo, grazie soprattutto al mercato comune europeo. In Italia l’idea corrente è invece che siamo strozzati da una politica suicida decisa altrove, ma non è così.
E perché si parla di miliardi persi ogni anno? Come fanno notare molti osservatori, le perdite dell’export italiano coincidono con la svalutazione del rublo, che a sua volta coincide con la perdita di valore del greggio, che in questi anni è sceso ed è rimasto sotto quota 50 dollari a barile. Quando il prezzo del greggio si è rialzato, l’export italiano verso la Russia guarda caso ha ricominciato a correre. In breve: l’export tra Italia e Russia sta tornando verso il livello di prima delle sanzioni e le perdite erano dovute soprattutto al cattivo andamento del rublo.