L'Iran ci ha preso in giro sulla Bomba, il deal è morto. Le accuse di Netanyahu
Il premier israeliano svela i piani nucleari segreti e rinsalda l’asse con i falchi di Trump, fra strike e diplomazia
Milano. Con una presentazione televisiva elaborata per stupire l’uditorio, Benjamin Netanyahu ha mostrato al mondo l’archivio iraniano che dimostrerebbe che il regime di Teheran non ha mai abbandonato il programma nucleare per ottenere la bomba atomica, violando così l’accordo siglato nel 2015. Il premier ha illustrato diversi estratti dall’archivio recuperato dall’intelligence israeliana in un anonimo scantinato di Teheran, e ha mostrato uno scaffale con mezza tonnellata di documenti cartacei e una teca con oltre un centinaio di cd che contengono le prove di una cosa soltanto: “L’Iran ha mentito alla grande”. Ha mentito quando diceva che non ha mai inteso sviluppare un programma nucleare a scopo militare e ha poi coperto con cambi di sigle e sotterfugi vari l’annullamento delle attività previsto dal deal, certificato per nove volte dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Netanyahu ha detto che Israele ha condiviso i documenti con l’intelligence americana, e che Washington “può testimoniare l’autenticità del materiale”. Dopo la “decertificazione” dell’accordo da parte degli americani nell’ottobre scorso, entro il 12 maggio Donald Trump deve decidere il rinnovo del patto: “Sono sicuro che farà la cosa giusta”, ha detto Netanyahu, mentre a Washington il presidente americano parlava di “situazione inaccettabile”. Il belligerante cambio di passo è arrivato dopo una serie di consultazioni con l’apparato della sicurezza americano che Trump ha recentemente ridisegnato in chiave anti iraniana. La settimana scorsa il ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, ha discusso della “espansione iraniana” a Washington con il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton. Al termine della missione, Lieberman ha detto che Israele ha tre problemi: “Iran, Iran, Iran”. Sabato Trump e Netanyahu hanno parlato al telefono “dei problemi posti dalle attività destabilizzanti del regime iraniano” e domenica, nella sua prima missione internazionale dopo essere stato confermato segretario di stato, Mike Pompeo, ha visto il primo ministro di Israele. L’accordo nucleare è “molto viziato”, ha detto dopo l’incontro di due ore a Tel Aviv, e il presidente “ha dato ordine all’Amministrazione di provare a sistemarlo. Se non riusciremo a farlo, abbandonerà l’accordo”.
Non si tratta di una escalation esclusivamente retorica. La sera stessa del faccia a faccia con Netanyahu, ci sono stati due attacchi a basi militari in Siria, nelle province di Aleppo e Hama. Diverse fonti locali hanno dichiarato che gli obiettivi erano depositi missilistici gestiti dagli iraniani, fra questi anche un’installazione chiamata Brigata 47, centro di reclutamento delle milizie sciite che combattono al fianco delle forze del regime di Bashar el Assad. Israele non ha dato conferme ufficiali, ma tutti i segnali dicono che sia stato un secondo round contro le forze iraniane dopo l’attacco che a metà aprile ha ucciso sette ufficiali delle guardie della rivoluzione. I funzionari di Tel Aviv hanno informato gli Stati Uniti e Mosca che ogni eventuale vendetta, condotta direttamente o tramite gruppi alleati come Hezbollah, giustificherà azioni militari contro l’Iran e la Siria.
Il colpo di teatro di Netanyahu appare come il preludio della dissoluzione dell’accordo, cosa che comporterebbe la reintroduzione automatica delle sanzioni. Nel frattempo il capo dell’agenzia atomica iraniana, Ali Akbar Salehi, ha detto lunedì che il paese “è tecnicamente pronto ad arricchire l’uranio a livelli più alti di quanto potevamo fare prima dell’accordo: spero che Trump si riabbia e rinnovi il deal”. E’ quello che spera anche Emmanuel Macron, che si sta adoperando in una disperata missione su più fronti per salvare l’accordo. Dopo la missione a Washington, il presidente francese ha parlato con il presidente iraniano, Hassan Rohani, il quale ha detto che sono gli Stati Uniti a violare l’accordo. Lunedì c’è stata anche la telefonata con Vladimir Putin, ambiguo protettore di Iran e Siria, e i due hanno convenuto sulla necessità di preservare il deal.