Se il deal scoppia
Chi resta e chi lascia in Iran se Trump fa tornare le sanzioni. Total (francese) e iraniani nei guai
Roma. Ieri il prezzo del petrolio è salito oltre i settanta dollari al barile come non succedeva dal novembre 2014 perché ci si aspetta una decisione imminente dell’Amministrazione Trump sul rinnovo del deal atomico con l’Iran. La scadenza dell’ultimatum è venerdì, ma Trump ha twittato ieri sera che annuncerà la sua decisione già oggi. Ieri un’agenzia azera privata specializzata nel campo dell’energia – l’Azerbaigian confina con l’Iran ed è molto interessato ai movimenti nel settore dell’energia della regione – ha pubblicato un’analisi a pagamento per spiegare quali imprese internazionali resteranno in Iran in caso di sanzioni americane. La riportiamo qui. In breve: se l’America decidesse di non rinnovare il deal atomico e decidesse di imporre di nuovo sanzioni internazionali sarebbe una mossa distruttiva contro i progetti esistenti e futuri delle aziende straniere in Iran. Le uniche imprese che, secondo le previsioni, continuerebbero le loro operazioni commerciali sono quelle di Russia, Cina e India, ma in quel caso potrebbero essere colpite da sanzioni per quanto riguarda le loro attività in America e in Europa.
Le conseguenze saranno molto dure nel campo del greggio e del gas. Anche se le aziende russe, cinesi e indiane continuassero a operare in Iran le attività di estrazione e produzione sarebbero inevitabilmente colpite perché la maggior parte della tecnologia è occidentale e quindi ci si aspetta un taglio brutale della produzione e dell’export iraniano. “Le capacità della francese Total, dell’italiana Eni e della multinazionale Shell sono molto migliori e di qualità più alta di quelle che possono essere messe in campo dai cinesi e dagli indiani. La produzione si abbasserà”, dice un consulente sentito per il report. Inoltre le banche americane ed europee potrebbero non concedere più finanziamenti e anche questo frenerà il settore. Il ministero del Petrolio iraniano sperava di toccare quota settecentomila barili al giorno di produzione nel marzo 2019, ma adesso potrebbe dover rivedere al ribasso la stima di cinquecentomila barili al giorno. Un’enormità. E pensare che senza sanzioni aveva raddoppiato la produzione di greggio.
La Russia, secondo l’analisi, resterà in Iran soprattutto per ragioni di politica estera, quindi per non abbandonare il partner iraniano con cui condivide il peso dell’intervento nella guerra civile in Siria a fianco del presidente Bashar el Assad.
I contratti già firmati con le compagnie occidentali e le loro quote in caso di sanzioni saranno ceduti ad altre compagnie. Il caso più importante è quello di Total, che aveva firmato un contratto in cui prometteva investimenti in Iran da un miliardo di dollari per sviluppare il giacimento di gas South Pars e che dovrebbe cedere la sua quota ai cinesi, dopo avere già speso novanta milioni di dollari che contava di recuperare soltanto con l’inizio delle attività. Il capo di Total, Patrick Puoyanné, aveva già detto a marzo che in caso di ritorno delle sanzioni americane avrebbe chiesto all’Amministrazione americana un’esenzione per continuare a sviluppare il suo progetto. Ieri il governo francese ha detto che continuerà ad aderire al deal atomico, ma non si sa quanto senso avrebbe perché il governo dell’Iran ha già fatto sapere che se l’America si ritira allora si considererà sciolto dall’accordo.