Sostenitori del presidente siriano Bashar el Assad, figlio del presidente precedente Hafez al Assad, prima delle “elezioni” del 2014. Il candidato del partito unico Baath vinse con il 92 per cento

Killing Bashar el Assad

Daniele Raineri

Per la prima volta in Israele si parla di dare la caccia al dittatore siriano come se fosse il leader di un gruppo terrorista (filoiraniano). Sta alla Russia salvare il rais

Lunedì in un’intervista al giornale Yedioth Ahronoth il ministro dell’Energia israeliano, Yuval Steinitz, ha detto che “se il presidente siriano Bashar el Assad permetterà all’Iran di usare la Siria come una base operativa avanzata per operazioni contro Israele allora sarà la sua fine. Rovesceremo il suo regime”. Alla domanda specifica se Israele avesse l’intenzione specifica di uccidere Assad, Steinitz ha risposto con un versetto biblico che dice “il suo sangue ricadrà sul suo capo”, che si usa per indicare chi è causa della propria rovina. “Assad non può starsene tranquillamente seduto nel suo palazzo intento a riabilitare il suo regime e lasciare che la Siria sia trasformata in una base per attacchi contro Israele. E’ semplice”.

  

“Se Assad permetterà all’Iran di usare la Siria come una base operativa per operazioni contro Israele sarà la sua fine”

Tuttavia ha anche aggiunto che questa è una sua dichiarazione personale e non è la linea politica del governo. Il problema per Assad è che Israele non confermerà mai se le parole del suo ministro sono una linea politica che potrebbe entrare in vigore oppure no. Ha cominciato a colpire la Siria nel gennaio 2013 con raid aerei mai dichiarati per contrastare il gruppo libanese Hezbollah e i suoi sponsor iraniani e ancora oggi non commenta questo tipo di operazioni nel paese confinante, quindi è difficile credere che dichiarerebbe in anticipo la designazione di Assad come possibile bersaglio di un’operazione. Quello che è certo è che stiamo assistendo a una progressiva libanizzazione della Siria in questo senso: la dottrina militare israeliana dice che in caso di futura guerra contro Hezbollah non sarà più fatta distinzione tra il gruppo armato e l’esercito libanese come nel 2006, questa volta sarebbero entrambi considerati possibili bersagli. Lo stesso vale per la Siria, che come il Libano ospita grandi contingenti ostili a Israele.

  

Se il governo di Damasco accetta forze iraniane sul suo territorio, deve aspettarsi una ritorsione militare e questo vale anche per i vertici politico-militari, si suppone. Da anni il capo del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, vive in stato di clandestinità nel timore di operazioni israeliane per eliminarlo. Se Steinitz, che è stato ministro dell’intelligence in un precedente governo, dice che Assad si sta attirando su di sé la designazione di bersaglio allora vuol dire che è un’opzione che è stata considerata. Non sfugge che Steinitz menzioni esplicitamente Assad “seduto tranquillamente nel suo palazzo” sul monte Qassioun che affaccia sulla capitale Damasco. Specificare la posizione del presidente siriano aggiunge un sapore più intimidatorio alle parole. Del resto, se Israele minaccia apertamente di porre fine alla tenuta dell’establishment assadista a Damasco quale modo più spiccio e punitivo che mirare direttamente al capo? La minaccia contro un capo di stato è inaudita, ma non sono più tempi normali come prima del 2011, quando Israele e Siria negoziavano la pace tramite i buoni uffici della Turchia e del presidente Erdogan, che ascoltava in diretta entrambe le parti al telefono e riferiva le risposte. Oggi Erdogan, Assad e il governo di Israele sono al centro di uno schema distruttivo in cui qualcuno dovrà giocoforza pagare per la vittoria degli altri.

 

Assad vive da anni nel terrore di finire nella lista dei possibili bersagli delle operazioni israeliane. Il ricordo della spia amica di suo padre

Per ora tutto questo è soltanto teoria, ma c’è da considerare che Assad vive da anni nel terrore di finire nella lista dei possibili bersagli delle operazioni israeliane. L’esperto israeliano Ronen Bergman racconta come reagì Assad quando i servizi segreti israeliani assassinarono il capo militare di Hezbollah, Imad Mughniyeh, nel parcheggio di un edificio dell’intelligence siriana a Damasco. Gli agenti israeliani erano riusciti a sostituire la ruota di scorta attaccata dietro al fuoristrada Pajero di Mughniyeh con una copia identica costruita da loro che conteneva telecamere e una carica esplosiva. Quando videro che Mughniyeh si avvicinava alla macchina da solo, fecero esplodere la finta ruota di scorta. Assad tentò in tutti i modi di evitare che la notizia che il capo militare di Hezbollah era stato ucciso a Damasco trapelasse, per non dover ammettere pubblicamente la sua complicità. Quindi chiese al Partito di Dio di dire che l’uccisione era avvenuta a Beirut, in Libano, e anche di trasportare la carcassa del veicolo laggiù. Voleva mettere la massima distanza possibile tra sé e i bersagli dell’intelligence israeliana.

   

Assad è cresciuto ascoltando la storia di Eli Cohen, la spia israeliana che parlava un arabo perfetto e fece carriera nei ranghi del regime del padre Hafez al Assad fino a diventare consigliere del ministro della Difesa – prima di essere scoperto durante una comunicazione radio e impiccato nel 1965. Circola anche una foto, la cui accuratezza non è confermata, di Cohen sulle alture del Golan in compagnia di Hafez. L’agente riuscì a scoprire che la Siria aveva preparato non una bensì tre linee di difesa sulle alture del Golan e con la scusa che i soldati siriani dovevano trovare in qualche modo riparo dal sole chiese e ottenne che fossero piantati alberi vicino ogni posizione, e in questo modo le rese identificabili dai ricognitori aerei. Fu grazie alle sue informazioni molto dettagliate e agli schemi che aveva disegnato che, quando arrivò il momento della guerra, gli israeliani conquistarono il Golan. In questo contesto il figlio Bashar è convinto oggi che gli israeliani ascoltino qualsiasi conversazione tra apparecchi elettronici in Siria – telefonate, messaggini, mail – e quindi ha creato un sistema militare clandestino che riceve ordini soltanto via corrieri in motocicletta. Si capisce l’effetto che fanno le parole pronunciate lunedì dal ministro Steinitz.

  

I giornali israeliani parlano di rappresaglie iraniane, del richiamo di riservisti, del rinnovo delle scorte di sangue, dell’apertura dei rifugi

Da tempo Israele combatte una guerra d’intelligence in Siria. Ieri i due missili che hanno colpito a sud di Damasco vicino una base che ospita forze iraniane (Israele non ha commentato, come al solito) avrebbero distrutto – ma non c’è una conferma definitiva – due veicoli e questo vorrebbe dire che la qualità e la rapidità delle informazioni è alta. Lunedì il sito Damasco Adesso che simpatizza con il governo siriano aveva scritto che otto soldati sono stati uccisi dall’esplosione del loro veicolo mentre viaggiavano nel sud del paese. Sono tecnici e militari in servizio con la 150esima divisione, che si occupa di gestire il sistema di contraerea missilistica S-200 – la stessa divisione a febbraio riuscì ad abbattere un aereo F-16 israeliano. Non c’è un’attribuzione chiara di responsabilità per queste morti, ma qui è il succo di queste operazioni. Meno si sa, più la paranoia cresce. C’è anche una serie mai chiarita di uccisioni ai danni di alti ufficiali iraniani – almeno otto – che erano stati schierati in diverse parti della Siria, a nord, al centro e a sud e che fu fatta passare per una semplice coincidenza sfortunata nel corso della guerra civile a dispetto del fatto che i conti non tornassero: nell’autunno 2015 morirono troppi ufficiali rispetto ai soldati semplici. E allora la questione non era ancora vissuta da Israele con la stessa urgenza di oggi. Adesso i quotidiani parlano di possibili rappresaglie iraniane contro Israele, del richiamo di una parte dei riservisti, del rinnovo delle scorte di sangue, dell’apertura dei rifugi per i civili in caso di attacco, il fatto che ieri le scuole vicino le alture del Golan non siano state chiuse è diventato una notizia.

   

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha riassunto così la situazione: “Nei mesi scorsi le Guardie della Rivoluzione iraniane hanno trasferito armi avanzate in Siria per attaccarci sia sul campo di battaglia sia sul fronte domestico, inclusi droni armati, missili terra-terra e batterie antiaeree che minacciano i jet della nostra forza aerea”.

   

Israele ha tracciato una linea rossa: chi è interessato alla sopravvivenza del rais siriano elimini la minaccia iraniana ravvicinata

In questo schema pericoloso – se Assad continua a lasciar fare agli iraniani tutto quello che vogliono sarà la sua fine – Steinitz lascia aperto un varco molto importante: la Russia se vuole può fermare tutto. “Che il primo ministro stia andando in Russia è una cosa eccellente (l’intervista è di lunedì, Netanyahu è stato a Mosca ieri ndr). Ha ingaggiato un dialogo senza precedenti con Putin. La Russia è una superpotenza importante con cui abbiamo molti interessi in comune. A volte ci sono anche conflitti di interessi – il riferimento è alla presenza dell’Iran in Siria – ma di solito gli interessi convergono. Tutti dovrebbero comprendere, tuttavia, che certe cose per noi sono una linea rossa da non attraversare. Se qualcuno è interessato alla sopravvivenza di Assad, dovrebbero dirgli di prevenire attacchi con missili e droni contro Israele”. Ecco qui la condizione, più chiara di così non si poteva proporre ai russi: se qualcuno è interessato alla sopravvivenza di Assad, deve bloccare gli iraniani che vogliono usare la Siria come una postazione di lancio per le loro operazioni. La folla che un mese fa strepitava contro l’Amministrazione americana perché parlava di un raid punitivo ma non definitivo contro il presidente siriano dopo un massacro con armi chimiche questa volta non si dà nemmeno pena di ascoltare, non si accorge di quello che succede in chiaro. E’ il destino della guerra civile in Siria, che produce fatti accertati e molto lineari che restano invisibili e produce anche complottismi senza senso che fanno subito il giro del mondo.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)