Il presidente russo Vladimir Putin e l'imprenditore Viktor Vekselberg (Foto Kremlin.ru)

Il paradigma oligarca

Micol Flammini

Viktor Vekselberg, Oleg Deripaska e gli altri. Vite parallele, riservate e nascoste raccontate dal Russiagate

A un certo punto la Russia era diventata il Far West. Dal tutto che era di tutti, il tutto era diventato di nessuno e un gruppo di giovani svegli, energici e veloci decisero di diventare i padroni di questo tutto. Erano i Mikhail Khodorkovski, i Vladimir Gusinski, i Boris Berezovski, gli Oleg Deripaska e i Viktor Vekselberg. Gli oligarchi, una categoria a sé, diversa dagli uomini d’affari, un’entità antropologica nata nel vuoto ideologico di una Russia da ricostruire. Questi giovani ambiziosi si presero tutto il prendibile: fabbriche, risorse, industrie, aziende  e sono nella classifica di Forbes degli uomini più ricchi del mondo. “Non erano disonesti per vocazione  – scrive Emmanuel Carrère nel romanzo Limonov – erano soltanto cresciuti in un mondo in cui era vietato fare affari, ma loro avevano un vero talento e da un giorno all’altro si erano sentiti dire: ‘Fatevi sotto’”. E loro si fecero sotto.

     

Era il 1992 e oggi, a distanza di venticinque anni, le vite di questi uomini sembrano sovrapponibili. Con i dovuti distinguo, Berezovski è morto, è stato ucciso a Londra in circostanze ancora non chiarite. Tutti hanno particolari legami con gli Stati Uniti e i tasselli delle loro storie, passate all’ombra del Cremlino, si stanno ricomponendo ora dietro gli scandali legati al Russiagate, a Donald Trump e alle sanzioni. L’ultimo di cui si è sentito parlare è Viktor Vekselberg, oligarca di famiglia ebraica, nato in Ucraina, spinto sotto i riflettori – lui uomo schivo e riservato come la maggior parte del mondo oligarchico – da un bravissimo avvocato americano, Michael Avenatti, legale della pornostar Stormy Daniels. Di Vekselberg si sa pochissimo, si sa che di formazione è ingegnere e che possiede ben nove uova Fabergé. Il suo nome è spuntato fuori dopo quello della Columbus Nova, la compagnia di investimenti basata negli Stati Uniti che ha versato 500 mila dollari alla Essential Consultants, l’agenzia tramite la quale Michael Cohen, l’avvocato di Donald Trump, ha pagato la Daniels prima delle elezioni presidenziali del 2016 affinché non rivelasse il suo affair con l’attuale presidente americano. A versare i soldi alla Columbus Nova sarebbe stato proprio lui, il silenzioso ingegnere.

  

Vekselberg è il nono uomo più ricco della Russia, il suo patrimonio vale 13,5 miliardi di dollari secondo Forbes e, il mese scorso, è finito sotto la scure delle sanzioni americane, come Deripaska. Ha fondato la Renova group e, proprio come Deripaska, ha fatto fortuna grazie alla privatizzazione dell’industria russa dell’alluminio negli anni Novanta, dopo il crollo dell’Unione sovietica. Le vite degli oligarchi si perdono sempre dietro nomi di compagnie, joint venture, versamenti bancari, donne bellissime, aerei, yacht blindatissimi e non è solo la Russia a unire l’entità antropologica degli oligarchi, ma anche l’America. Gli Stati Uniti sono spesso la patria degli affari , oltre che delle ville, dove ogni oligarca ha il suo alter ego. Nel caso di Vekselberg sarebbe un cugino. La Columbus Nova si dissocia da Vekselberg e Vekselberg si dissocia dalla Columbus Nova, ma l’amministratore delegato della compagnia americana sarebbe un cugino dell’oligarca russo, Andrew Intrater. Secondo Avenatti che cita documenti aziendali, Intrater sarebbe stato anche consigliere presso la Renova Us Management Llc. Il cugino è stato un finanziatore della campagna di Donald Trump – circa 250 mila dollari donati  a gennaio dello scorso anno – e tra gli ospiti presenti all'inaugurazione della campagna elettorale del presidente americano c’era anche Vekselberg. Le vite silenziose degli oligarchi sono sempre piene di dettagli, preziosi e nascosti. I legami tra il magnate russo e gli ambienti di Trump non si esauriscono in una festicciola, in un brindisi alla salute del presidente americano, ma arrivano fino alla Bank of Cyprus, di cui Vekselberg è il maggior azionista e dove il segretario al Commercio Wilbur Ross è stato investitore e vicepresidente fino allo scorso anno. Ross ha dichiarato di aver incontrato Vekselberg soltanto una volta e soltanto per un’ora, tuttavia i due sono stati coinvolti nel salvataggio della banca nel 2014.

  

Le uova Fabergé sono il cuore della vita dell’oligarca russo. Nove uova che l’oligarca ha comprato all’editore di Forbes e ha rimpatriato. Per il Cremlino, uno dei compiti degli oligarchi deve essere quello di riportare a casa i tesori russi dispersi per il mondo e da quei nove tesori acquisiti nel 2004 sarebbe nata l'amicizia tra Putin e Vekselberg.

 

Gli oligarchi sono un’entità astratta, una razza che esiste solo in Russia, una nuvola nata negli anni Novanta quando lo stato, o ciò che di esso rimaneva, inviò a tutti quelli che avevano più di un anno di età dei buoni dal valore di diecimila rubli. Il tempo di arrivare a ogni russo e i buoni già non valevano più nulla, l’idea era quella di favorire la nascita di imprese, di stimolare la proprietà privata, di far capire l'esistenza della parola mercato. Come scrive Carrère: “Con quei buoni ci si poteva comprare al massimo una bottiglia di vodka”. Alcuni russi, che si chiamavano Mikhail Khodorkovski, Vladimir Gusinski, Boris Berezovski, Oleg Deripaska e Viktor Vekselberg, offrirono la possibilità di rivendere i buoni, in molti decisero di approfittare dell’offerta e ci guadagnarono l’equivalente di una bottiglia di vodka e mezza. La storia degli oligarchi inizia da quei buoni, la storia della Russia da quella bottiglia e mezza di vodka.