La Camera dei Lord di Londra (foto LaPresse)

La somma di ribellioni non fa un'opposizione. Piccole lezioni dal pianeta Brexit

Paola Peduzzi

La coerenza dei Lord e il Labour paralizzato

Roma. Se c’è un luogo in cui fare opposizione ha un che di coerente e virtuoso, quella è la Camera alta del Parlamento inglese, i Lord che non rappresentano nessuno se non loro stessi e il loro prestigio e che pure per quattordici volte hanno votato contro il famigerato “Brexit bill”, la legge che determina filosofia e procedura dell’uscita del Regno Unito dall’Europa. Ogni volta si ripete la stessa scena: i Lord votano contro una proposta del governo, i sostenitori della Brexit s’inalberano, è un golpe delle istituzioni contro il volere del popolo, e i conservatori al governo si rammaricano di non aver scelto, sei anni fa, di ridimensionare quella Camera di parrucconi. L’opposizione alla Brexit invece esulta, tutto quel che non si riesce a fare ai Comuni, accade lì, esempio ravvicinato di come si potrebbe essere e non si è, imprigionati in calcoli, conte, faide, vendette, incertezze. Per i Lord è facile, certo: non ci sono elettorati da soddisfare, consensi da mantenere, si è liberi da quel che rende democratica la politica, ma non è detto che la coerenza, l’identità siano esclusiva degli aristocratici.

 

Il Labour che è il primo partito d’opposizione del Regno Unito vive ogni voto dei Lord come un tormento, perché non c’è niente di più fastidioso del cugino primo cui va sempre tutto bene, senza sforzo. Potrebbe non essere così, se il partito della sinistra inglese non si fosse trasformato in un modello di ribellione permanente. C’è un che di romantico nell’andare controcorrente, e l’attuale leader del partito, Jeremy Corbyn, è uno che per tutta la vita si è mosso in senso contrario rispetto al suo stesso partito, ha vinto dei riconoscimenti per questo. Ribellione e purezza sono diventati quasi sinonimo negli elettori di sinistra a caccia di un sogno nuovo, e così ora, di illusione in illusione, di ambiguità in ambiguità, s’è creato un cortocircuito tra fare opposizione ed essere ribelli. Il risultato è un po’ brutale, il ribelle in capo diventa autoritario e per tenere insieme il partito deve fare il dittatore, l’antiribelle, e tutti gli altri si muovono in modo sparso, per lo più improvvisato, chi fugge, chi s’adatta.

 

E sì che fare opposizione nel Regno Unito oggi non è così difficile. Hai un governo che vuole l’uscita dall’Ue ma non sa come farla, che è un po’ quel che accade quando devi gestire una posizione un po’ estrema che potrebbe persino essere controproducente per il tuo paese. E che cosa fa il Labour? Litiga, si fa prendere dalle correnti e dalle manie di persecuzione, accusa giornali o giornalisti nemici a seconda dell’inquadratura, si polarizza al proprio interno, paradosso assoluto. Dopo che la Camera alta ha votato a favore dell’area economica comune – che è un po’ scivolare verso la permanenza nel mercato unico e nell’unione doganale, la Brexit che non è Brexit – molti parlamentari laburisti hanno preso coraggio: facciamo un referendum sull’accordo che il governo May stipula con gli europei. Questi parlamentari sono del nord dell’Inghilterra, zona brexitara, quindi se hanno avuto audacia loro, possono averla pure gli altri. Una rilevazione di YouGov dice che il settanta per cento degli inglesi vorrebbe avere voce in capitolo sull’accordo, bisogna cogliere l’attimo e far sì che i piccoli “nudge” che arrivano dai Lord si trasformino in cambiamento del corso della Brexit. Ma è la leadership del partito che dovrebbe convincersi di questa opportunità, quel Corbyn che ancora ieri diceva che non è cambiato nulla, la posizione del Labour è che bisogna creare una “nuova relazione” con il continente europeo. In quel “nuova” c’è tutto e niente, e mentre il governo si sfalda perché teme che da questo famigerato mercato unico europeo non riuscirà a staccarsi mai, il Labour non riesce a fare opposizione, sta fermo, vogliamo dar voce alla volontà popolare ma anche scalzare i Tory dal potere. Star fermi a volte è una tattica utile, ma non è per sempre, e la somma di infinite, spesso inutili ribellioni non fa un’opposizione.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi