L'Europa tra Macron e Orbán
L’istantanea dell’Unione europea è nitida: liberali di qui, illiberali di là. In mezzo una sedia (per l’Italia) non c’è
Milano. A volte i tempi sono perfetti, in sincrono esatto, e non puoi sbagliarti: l’immagine dell’Europa di oggi, l’istantanea scattata un paio di giorni fa, è inequivocabile. La Francia liberale parla di un sogno europeista, valori condivisi, apertura, protezione, riforme; l’Ungheria illiberale (ma democratica, ci ostiniamo a sottolineare) parla dell’incubo “delirante” degli Stati Uniti d’Europa, e rivendica: “Abbiamo sostituito una democrazia liberale naufragata con una democrazia cristiana del XXI secolo”. Non c’è equivoco, c’è soltanto da capire dove si sistema l’Italia nella foto di gruppo.
Prima ancora del presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel parlava di “identità europea condivisa”, di “maniche rimboccate” per rendere l’Europa la centrale del liberalismo occidentale, mentre l’America trumpiana si ripiegava su se stessa, facendo più di un dispetto agli europei, e il Regno Unito s’imbarcava in quell’avventura poco divertente che è la Brexit. Oggi studiamo ogni gesto e parola di Macron e Merkel per capire se vanno d’accordo, se si detestano o se fingono alla grande (perdiamo molto tempo in questa attività che ci rifila cantonate epocali: Macron e Trump si sono baciati e abbracciati e fatti l’occhiolino per due giorni di fila, e subito dopo l’americano ha tradito l’amore appena sbocciato ritirandosi dall’accordo sul nucleare iraniano), ma l’ispirazione liberale è la stessa, la prospettiva è la stessa – ed è uguale a quella che anima i discorsi di Mario Draghi e Paolo Gentiloni, come abbiamo sentito ieri. Pur discutendo in modo vivace con Bruxelles e con gli altri leader europei – e le divergenze non hanno trovato sempre una ricomposizione ottimale – l’Italia si è mossa all’interno di questa ispirazione, al tavolo franco-tedesco o appena di lato, a seconda dei momenti.
L’Europa dell’est è andata in un’altra direzione, in modo via via più deciso. Viktor Orbán, riconfermato premier in Ungheria, è il portavoce più accurato della visione alternativa a quella liberale: contro l’illusione di un popolo europeo, contro l’apertura ai migranti, contro i progetti di “unione più stretta”. Orbán non rinnega l’appartenenza al sistema europeo, “l’Ungheria è e rimarrà un membro impegnato del sistema di alleanze occidentali”, ha detto inaugurando il suo terzo mandato consecutivo: non gli conviene sganciarsi eccessivamente, il suo paese ha un certo bisogno dei fondi dell’Ue. Ma allo stesso tempo Orbán rivendica sovranismo e nazionalismo in chiave cristiana, citando precise motivazioni geopolitiche: “A ovest c’è la terra dei cancellieri di ferro della Germania, a est c’è il mondo dei soldati slavi, a sud ci sono folle immense di musulmani. Berlino, Mosca, Istanbul: l’Ungheria vive in questo spazio, dobbiamo fare i nostri conti basandoci su questa realtà”. La geografia conta di nuovo tantissimo ora che la polarizzazione est-ovest si è riaffacciata a suon di guerre mediorientali e annessioni illegittime nel placido continente europeo, e Orbán crea una visione – che non è solo politica: è storia, è cultura, è società – cui si può aggrappare quella terra di mezzo che abbiamo sempre chiamato “nuova Europa”. Il premier ungherese guarda oltre il suo gruppo di Visegrad, che abbiamo visto muoversi in modo sempre più compatto: anche l’Austria del giovane Sebastian Kurz e del suo governo destra-destra vuole costruire ponti a est, basati su una comunanza di idee che s’allontana da quella squisitamente liberale di Macron e della Merkel.
L’Italia dovrà decidere dove collocarsi, e la zona grigia, ammesso che sia abitabile, è molto stretta, presto potrebbe non esserci più. In queste settimane di consultazioni e forni, la Lega è sempre rimasta se stessa, mentre i Cinque stelle hanno tentato posizionamenti di vario tipo, ora occhieggiando ai macroniani europei, ora ritornando all’antica retorica anti europeista: molti vogliono credere che la normalizzazione è possibile, soprattutto quando si passa dalle promesse al governo – guardare il greco Tsipras per credere. Ma se guardi chi festeggia la convergenza populista italiana, unica tra i paesi fondatori dell’Europa, non possono sfuggirti i sorrisi dei Farage e dei Bannon, se è da quella parte che ci sono gli applausi, è lì che l’Italia finirà per accomodarsi. E tra Macron e Orbán il posto per una sedia non c’è.