Una manifestazione contro gli Stati Uniti a Teheran. Foto LaPresse

Il ruolo dell'Iran a Gaza mette l'Europa in una posizione scomoda

Paola Peduzzi

Teheran si intesta la rivolta palestinese contro Trump e Israele mentre cerca di salvare l’accordo nucleare con gli europei

Milano. Israele uccide “a sangue freddo”, ha twittato il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, prima di imbarcarsi sul volo che ieri lo ha portato a Bruxelles al vertice salva-accordo con i partner europei: innumerevoli palestinesi sono stati “massacrati mentre protestavano nella più grande prigione a cielo aperto del mondo”, la Striscia di Gaza, ha scritto Zarif, e intanto Donald Trump inaugurava la sua ambasciata “illegale” e “gli altri paesi arabi cercavano di distogliere l’attenzione”. L’Iran condanna l’azione militare di Israele contro i manifestanti – almeno 60 morti nella giornata di lunedì, duemila feriti – e accusa l’America di aver destabilizzato una regione che già stabile non era, ma sottolinea anche la frattura con gli altri paesi della regione, che ha consolidato fronti così distanti che nemmeno la questione palestinese e lo status di Gerusalemme, il collante da sempre di ogni guerra mediorientale, riescono più a unire. “La Striscia di Gaza sta diventando come lo Yemen”, ha detto lunedì sera il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, utilizzando un riferimento che è chiaro a tutti: lo Yemen è il paese in cui lo scontro tra Iran e Arabia Saudita è diretto, brutale, colpo su colpo, sciiti contro sunniti, una guerra di egemonia e conquista, che riguarda tutta la regione. Ci sono i cosiddetti “proxy” sul terreno, ma anche questo concetto di prossimità è via via più sfumato: Nasrallah stesso di recente ha voluto precisare (era un discorso a uso interno che è stato erroneamente fatto circolare e poi rimosso) che il ruolo di “proxy” dell’Iran va stretto a Hezbollah, il legame con Teheran è ben più profondo e “vicino”. La guerra in Siria ha cambiato ogni cosa, anche lo sforzo militare richiesto a Hezbollah che nel conflitto ha perso moltissimi uomini, e ora che l’America di Trump nel giro di qualche giorno esce dall’accordo internazionale sul nucleare e inaugura un’ambasciata che fa di Gerusalemme la capitale di Israele, il fronte iraniano deve alzare ancora di più la voce, intestandosi la battaglia contro Israele (la solita), contro l’America (la solita ma ora c’è in più il ritiro dal deal) e contro l’Arabia Saudita e “le nazioni che tradiscono la causa palestinese” come ha detto Nasrallah, firmatarie di quell’“accordo del secolo” che impedirà per sempre la nascita di uno stato palestinese. 

  

  

  

Lo Shin Bet, servizio segreto interno di Israele, dice che l’Iran sta sostenendo finanziariamente Hamas “per le sue attività violente lungo il confine della Striscia di Gaza”: non ha fornito prove, ma in passato i leader di Hamas hanno ringraziato anche pubblicamente Teheran per il sostegno ricevuto. Il governo israeliano teme che si ripeta quella strategia “a tenaglia” che già nel 2006 aveva accerchiato Israele su due fronti, da Gaza e dal nord libanese. Oggi, dopo anni di conflitto siriano nella quasi indifferenza occidentale, si è aggiunto il fronte del Golan, e se la regia è unica – iraniana – il pericolo della sincronizzazione si fa più alto.

  

Molti sostengono che per quanto l’Iran sia molto minaccioso, la guerra non gli convenga. In Siria ha perso molti punti di raccolta – di uomini e armi – in seguito agli strike di Israele, precisi e continui, e soprattutto c’è il rischio che l’accordo internazionale sul nucleare collassi, portandosi dietro anche quell’apertura sui mercati che aveva permesso non di migliorare la qualità della vita degli iraniani, figurarsi, ma almeno di finanziare le guerre anti sauditi e anti occidentali in medio oriente. Zarif è andato a Bruxelles con molte speranze: gli alleati europei (Parigi, Londra, Berlino e il capo della diplomazia europea Federica Mogherini) vogliono mantenere l’accordo anche senza gli americani. La proposta di “potenziamento” che Emmanuel Macron, presidente francese, aveva fatto a Trump per convincerlo a non ritirarsi è decaduta, ma resta in piedi l’idea (francese) di negoziare un altro accordo per regolare quel che accade dopo il 2025, i test missilistici e la sponsorizzazione del terrorismo. Ci vorranno anni, oltre che il consenso di tutti gli interlocutori, e intanto l’urgenza è un’altra: salvare un accordo che politicamente può anche sopravvivere senza gli americani, ma che ha molte meno chance dal punto di vista pratico. Se Washington, come ha già detto di voler fare, impone sanzioni anche alle aziende europee che fanno affari con Teheran, diventerà molto difficile operare nel mercato iraniano, e considerando che il volume di business non è enorme, potrebbe non valerne la pena. L’Iran sa che c’è questo pericolo, e chiede garanzie, mentre gli europei si trovano nella posizione più scomoda possibile, aprono inchieste sui fatti di Gaza mentre l’Iran minaccia apertamente Israele e l’America.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi