Il piano di Trump per l'Iran
Il segretario di stato americano Mike Pompeo avverte: “La pressione finanziaria su Teheran sarà senza precedenti”. Ed elenca i requisiti che il regime dovrà rispettare se vuole riaprire il dialogo con gli Stati Uniti
Milano. C’è il regime iraniano e c’è il popolo iraniano, ha detto il segretario di stato americano, Mike Pompeo: il primo deve soddisfare una serie di richieste se vuole riaprire il dialogo con gli Stati Uniti; il secondo deve sentire la mano tesa, mano di solidarietà e aiuto. Pompeo ha parlato alla Heritage Foundation, think tank conservatore, per delineare la politica dell’Amministrazione Trump ora che l’America si è ritirata dal deal internazionale sul nucleare iraniano: il segretario di stato non è un gran oratore, parla veloce con gli occhi al testo scritto, ma è stato molto chiaro.
Gli obiettivi dell’accordo siglato nel 2015 non sono stati raggiunti, ha detto, e per questo si imposterà un nuovo negoziato una volta che saranno rispettati alcuni requisiti che “non isolano la questione nucleare dalle altre urgenze di sicurezza”. Pompeo ha letto questi requisiti quasi d’un fiato, anche se sono tanti e duri e irricevibili per la leadership di Teheran. L’Amministrazione Trump chiede come premessa a un “nuovo corso” che: l’Iran dia la misura esatta delle sue capacità nucleari militari; smetta di arricchire uranio e chiuda tutti i reattori; dia accesso agli ispettori internazionali a tutti i siti (compresi quelli militari); smetta di testare missili che hanno la capacità di trasportare armi nucleari; liberi i cittadini americani imprigionati (“ostaggi”); si ritiri completamente dalla Siria; fermi la sponsorizzazione di Hamas, Hezbollah, le forze sciite in Iraq, gli houti in Yemen, i talebani in Afghanistan e fermi le attività delle forze al Quds in tutto il mondo; non dia ospitalità a Teheran ad alcuni leader di al Qaida; e rispetti gli alleati dell’America nella regione mediorientale, Israele prima di tutto, ma anche l’Arabia saudita e gli Emirati arabi. “La lista è lunga – ha detto Pompeo – ma sono i mullah che l’hanno creata”.
Pompeo si è rivolto agli alleati europei che aspettano con una grande ansia di capire le prossime mosse americane: il segretario di stato dice di aver parlato tantissimo con i partner oltre Atlantico, e dice di essere sicuro che molti di loro condividono il fatto che la “scommessa” insita nell’accordo del 2015 non è stata vinta. I fondi che sono stati dati all’Iran sospendendo le sanzioni e togliendo il paese dall’isolamento in cambio della sospensione del programma nucleare sono diventati “bloody money”, ne ha beneficiato soltanto il terrorismo internazionale.
Gli europei faranno quella che credono sia la scelta migliore, dice Pompeo, ma devono stare attenti perché tenendo in piedi un piano fallito, ci perdiamo tutti: Europa, America, stati del medio oriente, ci perde soprattutto il popolo iraniano. Mentre molti dicevano che non si sentiva parlare di regime change in modo tanto diretto dagli anni bushiani, il segretario di stato ha ribadito che la pressione finanziaria su Teheran sarà “senza precedenti”, perché il regime deve scegliere: o investe i fondi che gli arrivano dall’apertura ai mercati per migliorare la vita degli iraniani, o li spende all’estero, per sponsorizzare guerre in cui le vite degli iraniani vengono sacrificate: “State certi che il regime non potrà fare entrambe le cose”. Il popolo iraniano non aspetta che questa mano tesa dall’esterno, dice il segretario di stato: le proteste continue, assieme a una situazione economica che si deteriora di giorno in giorno, mostrano che corruzione e malagestione non saranno tollerate a lungo, il regime deve “sostenere le aspirazioni del popolo, non reprimerle”.
Pompeo manderà una task force di diplomatici americani dagli alleati per discutere insieme su come gestire il regime iraniano, e per “ascoltare” quel che hanno da dire i partner strategici, e mentre annuncia che, a differenza dell’Amministrazione Obama, anche il Congresso sarà coinvolto nel prossimo negoziato, dice: l’obiettivo non è un accordo, ma come vogliamo che si trasformi l’Iran. Il prossimo anno si celebrano i 40 anni dalla Rivoluzione, ci sono tre generazioni di cittadini della Repubblica islamica che non sanno com’è la vita fuori dal regime: mentre i diplomatici di tutto il mondo si mettono le mani nei capelli perché con queste premesse – e con l’insistenza sulla difesa di Israele e dell’Arabia saudita – un compromesso è quasi impossibile, Pompeo chiede: “Che cosa ha dato la Rivoluzione agli iraniani?”, e dice che la sicurezza di tutti noi dipende dalla risposta che daremo a questa domanda.