La gita europea di Zuckerberg
Il ceo di Facebook si libera facilmente delle domande dell’Europarlamento, a lui interessa Macron
Roma. Mark Zuckerberg, ceo di Facebook, ieri ha fatto una visita di cortesia al Parlamento europeo nel corso del suo viaggio per incontrare il presidente francese Emmanuel Macron. Da quando, lo scorso marzo, è scoppiato lo scandalo di Cambridge Analytica, Zuckerberg è stato invitato a parlare dai parlamenti di mezzo mondo. Si è dovuto sottomettere a una seduta-fiume di due giorni davanti al Congresso americano, perché dal risultato dell’audizione dipendeva la regolamentazione di Facebook negli Stati Uniti, e se l’è cavata egregiamente, più per la decrepitezza dei congressmen che per meriti propri. In seguito, ha rifiutato l’invito dei sempre bellicosi Comuni britannici, ma ha accettato l’invito di Antonio Tajani per un confronto con i rappresentanti europei, sicuro che se la sarebbe cavata facilmente. Aveva ragione. Anzitutto, l’Europarlamento non ha tra le sue competenze quella di regolamentare le grandi aziende tecnologiche, e questo è stato sufficiente per mettere Zuck a suo agio. Il ceo di Facebook ha riciclato in buona parte il discorso fatto al Congresso americano, poi per un’oretta ha risposto con scioltezza a una serie di domande generiche e fuori fuoco, facilitato dal format dell’incontro: non davanti al plenum dell’Europarlamento ma intorno a un tavolo con i soli capigruppo, che hanno fatto tutte le domande prima, lasciando modo a Zuck di rispondere soltanto a ciò che voleva (ergo, non ha risposto a nessuna domanda pericolosa o anche soltanto specifica, generando sul finale un moto di indignazione tra i capigruppo). (Cau segue a pagina quattro)
Tra le poche domande sul punto, Guy Verhofstadt dell’Alde ha definito Facebook un monopolio e ha sollevato la possibilità di separare il social network da Messenger o da Whatsapp. Altri hanno parlato dei cosiddetti “shadow profile”. Al contrario Nigel Farage, mentre i parlamentari inglesi fremevano su Twitter, si è definito “il miglior cliente” di Mark Zuckerberg tra le istituzioni europee (è l’europarlamentare con più follower) e ha accusato il social network di bias politico perché nel corso dell’anno ha perso il 25 per cento del suo seguito.
La visita di Zuckerberg a Bruxelles non era del tutto ingiustificata: questa settimana entra in vigore il Gdpr, la nuova regolamentazione europea sulla protezione dei dati, e Zuck ha mostrato tempismo perfetto nel rendere omaggio all’Ue nel momento in cui l’Ue tenta di trasformarsi nel poliziotto mondiale della protezione della privacy. Ma appunto, la vera ragione del viaggio del fondatore di Facebook era Emmanuel Macron.
Zuckerberg e Macron si incontrano oggi a pranzo all’Eliseo, prima di prendere parte a un evento di startup e, domani, partecipare alla conferenza tecnologica Viva Technology. Non saranno soli: al tavolo di Macron ci saranno anche calibri come Eric Schmidt di Google, Satya Nadella di Microsoft, Dara Khosrowshahi di Uber. I dirigenti della Silicon Valley non si sono mai spostati in massa per nessun leader europeo, l’ultima volta che si è visto un assembramento del genere è stato durante l’imbarazzato incontro con Trump poco dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ma per Macron hanno fatto un’eccezione. Non soltanto perché il presidente francese è il leader liberale a cui tutti oggi vogliono veder associato il proprio nome, né perché si riempie la bocca di slogan come “startup nation”. Macron, attualmente, è l’unico leader europeo a sapere esattamente di cosa si sta parlando quando si parla di sviluppo tecnologico e l’unico ad avere una strategia coerente e aggressiva in merito. Gli appelli – tecnicamente e strategicamente perfetti – per creare una “Darpa europea” sull’intelligenza artificiale (sarebbe: un’agenzia centralizzata e superfinanziata per lo sviluppo delle tecnologie strategiche) sono un segnale di competenza e visione che nessun altro leader ha dato. Mentre la Germania vede nella Silicon Valley un pericolo da sanzionare, il Regno Unito è preso dalle incertezze della Brexit e il probabile governo italiano a guida Cinque stelle-Lega non ha nemmeno contemplato la presenza di un ministro per il Digitale nell’esecutivo (si veda l’appello di Stefano Quintarelli sul Foglio di ieri), la Francia potrebbe essere quanto meno un partner costruttivo per i tecnocrati americani, scandali sulla privacy permettendo.