La tv degli Obama
Un accordo con Netflix per sfidare con idee edificanti l’immaginario televisivo trumpizzato. Storia di due americhe
New York. In un tempo che sembra lontanissimo ci si domandava: cosa farà Trump una volta perse le elezioni? La risposta era scritta: fonderà il suo network televisivo per continuare a fare su scala ancora più larga ciò che sa fare meglio, mettere a sistema se stesso e il suo reality show, prosecuzione naturale degli anni dei contratti plurimilionari di The Apprentice ma con una rinnovata carica politica. Un ponte mediatico fra le casalinghe disperate e l’uomo dimenticato, ché comunque fosse andata a finire l’avventura elettorale la domanda degli americani di un immaginario televisivo trash-populista si era dimostrata molto vivace. In un tempo che sembra altrettanto lontano ci si domandava anche: cosa farà Obama una volta finito il mandato alla Casa Bianca? Libri, conferenze, filantropia, verdure bio, soldi erano le risposte naturali, e l’anticipo da sessanta (60) milioni di dollari incassato per un libro di memorie andava in quella direzione. Il contratto firmato con Netflix per produrre contenuti edificanti che “promuovono empatia e comprensione fra le persone” introduce invece un elemento meno convenzionale nel destino della post presidenza obamiana. Devono aver pensato che il tempo delle fondazioni di genere clintoniano dove si salva il mondo mangiando tartine fra Bono e un emiro del Qatar è passato, ma forse l’intuizione vincente è che l’America, il mondo intero, si divide non in due scuole di pensiero ma in due grandi canali televisivi.
Il canale naturale di Trump è quello, appunto, del reality dove tutti battibeccano e si pugnalano alle spalle come se fossero alla Casa Bianca, un palinsesto costruito attorno a una rissa reale fra il clan dei Kardashian e l’intero cast di Jersey Shore, arbitrato da Rudy Giuliani. A questo canone estetico dell’intrattenimento popolare si sono aggiunti, in seconda battuta, le immagini dell’imbruttimento trasmesse dalle pubblicità delle televisioni locali (genere fondamentale per capire il paese), il sottobosco dei complottisti che registrano nel sottoscala tirate contro il “deep state”, l’universo nascosto ai non iniziati eppure potentissimo del televangelismo, la mastodontica rete di network d’informazione a trazione propagandistica messa insieme dal gruppo Sinclair, che controlla 193 reti e raggiunge quasi il 40 per cento degli americani; se l’Autorità delle comunicazioni approverà l’acquisto di Tribune media, la quota potrebbe salire al 72 per cento. E tutto questo per tacere dell’alleanza con Fox, che ora spinge Trump ma è da lungo tempo l’ossatura del Partito repubblicano. Prima della battaglia politica, Trump ha vinto la guerra televisiva. Come contrastarlo? Con prodotti televisivi uguali e contrari, cioè sposando lo storytelling e il packaging fighetto-popolare di Netflix, aggiungendo contenuti sobri e corretti a una piattaforma on demand con 125 milioni di iscritti. Per contrastare il canale Trump, che racconta l’America attraverso i suoi occhi e il suo ciuffo, occorre un paradigma di immagine competitivo. Gli Obama non hanno esperienza diretta nel settore cinematografico, ma sono abbastanza scaltri da sapere su quali campi di battaglia conviene combattere e hanno dalla loro la forza ineffabile della superiorità morale, che poi è anche superiorità d’immagine: hanno chiamato la casa di produzione “Higher Ground Productions”, che evoca la massima michelleobamiana: “Quando loro si abbassano, noi voliamo alto”. “Io e Barack abbiamo sempre creduto nel potere dello storytelling”, ha dichiarato l’ex first lady, decisa a opporre alla cinematografia crassa e populista un po’ di programmazione dalla parte giusta della storia. Valore aggiunto: nell’èra del #MeToo l’industria cinematografica è quella più bisognosa di redenzione, e gli Obama lo sanno bene, loro che avevano affidato la figlia in cerca di stage alle cure di Harvey Weinstein. Nasce così un canale Obama per contrastare l’immaginario trumpizzato: un vasto programma per un presidente che oggi ci sembra una specie di Abraham Lincoln, ma a conti fatti era tutto chiacchiere e storytelling.
l'editoriale dell'elefantino
C'è speranza in America se anche i conservatori vanno contro Trump
tra debito e crescita