L'America sarà il nuovo Giappone? Mai così poche nascite da un secolo
Il primo boom economico senza il baby boom
Roma. “L’America è risorta dalla recessione”, annunciò trionfante Barack Obama il 22 gennaio 2015. Ma la recessione di cui parlava era soltanto quella economica. L’America, infatti, non si è mai ripresa dalla recessione demografica. Ricca e in piena occupazione, l’America sta vivendo un lungo crollo storico delle nascite.
Dieci anni fa, la donna americana aveva circa 2,1 figli. Oggi, è ferma a 1,77, un crollo della fertilità simile a quello che ha colpito la popolazione giapponese negli anni Novanta. I tassi di natalità sono diminuiti molto per le adolescenti americane ventenni e trentenni, che hanno portato al minimo storico di nuove nascite dal 1987. Gli esperti ritengono questi numeri sorprendenti, perché i baby boom hanno spesso avuto un boom economico parallelo, mentre da tempo ormai l’America viaggia in regime di bassa disoccupazione e di economia in forte crescita. L’America è ancora al di sopra di paesi come la Spagna, la Grecia, il Giappone e l’Italia, ma il divario si sta per chiudere. L’Europa si sta europeizzando.
3,85 milioni di americani sono nati l’anno scorso. Un milione in meno di quelli che sarebbero nati se gli americani avessero continuato a fare figli come ai livelli del 2008. Il tasso generale di fertilità per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni è di 60,2 parti per mille donne, il tasso più basso da quando il governo ha iniziato a tracciarlo più di un secolo fa. I millennial stanno abdicando in massa alla fertilità. E la minore fertilità degli adolescenti rappresenta un terzo del calo generale delle nascite in America. A trainare la demografia americana sono ancora gli evangelici e i cattolici, con un tasso di 2,5 figli. Jonathan V. Last, autore del libro “What to Expect When No One’s Expecting: America’s Coming Demographic Disaster”, dice che l’America, più che all’Europa, somiglierà al Giappone: “Nel 1980, tutti davano per scontato che i giapponesi fossero sul punto di dominare il mondo. Ma la robusta facciata economica del paese nascondeva una struttura demografica fatiscente. L’anno scorso, per la prima volta, i giapponesi hanno comprato più pannolini per adulti che pannolini per neonati”. Le stesse dinamiche sono adesso all’opera in America.
In America la Kimberly Clark, che produce i celebri pannolini Huggies, ha appena tagliato migliaia di posti di lavoro. E nei prossimi anni farà a meno del tredici per cento della sua forza lavoro in tutto il mondo. Poi anche la Toys ‘R’ Us, il colosso dei giocattoli, ha ufficializzato la propria liquidazione. “La maggior parte dei nostri clienti sono neonati e bambini e, di conseguenza, le nostre entrate dipendono dai tassi di natalità nei paesi in cui operiamo”, recitava a marzo un documento interno della Toys. “Negli ultimi anni, il tasso di natalità di molti paesi è diminuito o ha ristagnato con l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dei livelli di istruzione e reddito. Un continuo e significativo declino nel numero di neonati e bambini in questi paesi potrebbe avere un effetto negativo sul nostro modo di ottenere risultati”.
Qualche settimana fa, il New Yorker ha pubblicato un articolo di Matt Alt dal titolo “Gli Stati Uniti giapponesi”. “’Il Giappone è l’impostazione predefinita dell’immaginazione globale per il futuro’, scrisse William Gibson nel 2001. Si riferiva a un Giappone di gadget e servizi alla moda, la metropoli dell’iper-consumatore. Ma quello che Gibson ha scritto riguardo ai prodotti era altrettanto vero su altre tendenze meno visibili nella società giapponese: la stagnazione economica, un bassissimo tasso di fertilità, un drammatico rinvio delle ‘normali’ esperienze dell’età adulta, come sposarsi o semplicemente uscire di casa; un senso strisciante di ambivalenza su ciò che il futuro potrebbe contenere. Diciassette anni dopo, il nostro paese è, in molti modi, sempre più simile al Giappone”.
Più che il “great”, Donald Trump dovrebbe forse adottare un altro slogan: Make America Mate Again!