Cosa succede alla lira turca? L'economia elettorale del rais Erdogan
Ieri la Banca centrale ha alzato i tassi mettendo una pezza a mesi di crollo della valuta. Nuove elezioni generali il 24 giugno
Roma. Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, è stato accusato di aver trasformato il paese in una semi dittatura, di aver islamizzato il paese a tappe forzate eliminando le garanzie laiche, di aver silenziato la stampa e soppresso il dissenso. Ma in quasi un ventennio di governo, nessuno ha potuto criticarlo sulla gestione economica del paese. La Turchia è diventata una potenza economica, milioni di persone sono uscite dalla povertà, Istanbul è diventata uno dei centri dell’economia mondiale. Milioni di cittadini turchi possono trovare preoccupante la deriva autoritaria di Erdogan, ma per anni hanno continuato a votare per lui per la semplice ragione che con Erdogan c’erano lavoro e ricchezza. Il prossimo 24 giugno, la Turchia va a nuove elezioni indette dal presidente – a sorpresa e con un anno di anticipo – appena un mese fa, ma questa volta il vantaggio di Erdogan in economia non è assicurato.
La crescita del pil turco negli ultimi anni è stata consistente, ma realizzata generando debito. Soprattutto, la fluttuazione della valuta turca, la lira, ha mostrato l’influenza negativa che l’autoritarismo crescente di Erdogan può avere sulla tenuta economica. La valuta subisce da mesi un deprezzamento costante, provocato dal rafforzamento del dollaro e dall’aumento del prezzo del petrolio, cruciale in un paese che dipende dalle importazioni energetiche. Nelle ultime due settimane, poi, il crollo della lira si è intensificato, raggiungendo i minimi storici quando Erdogan, durante un incontro a Londra con i rappresentanti delle principali banche e fondi d’investimento mondiali (un giornale turco ha definito l’incontro “il meeting da 18 trilioni di dollari”) ha detto che si opporrà a qualsiasi rialzo dei tassi di interesse, e che se vincerà le elezioni di giugno assumerà il controllo della politica monetaria, annullando di fatto l’indipendenza della Banca centrale. Di colpo la lira è crollata e il Financial Times ha sentenziato che “con l’eccezione dell’Argentina, nessun altro mercato emergente appare tanto vulnerabile quanto quello della Turchia”. Fitch e Standard & Poor’s hanno minacciato di tagliare il rating della Turchia, già piuttosto basso. Ieri, dopo giorni di preoccupazione, la Banca centrale ci ha messo una pezza, ha disobbedito a Erdogan e ha alzato i tassi, dando respiro alla valuta. Ma i mercati ormai sono spaventati, gli investimenti diretti sono in calo, e quest’anno, per la prima volta da tempo, il valore dei salari è diminuito del 2 per cento.
Alle elezioni di giugno, presidenziali e parlamentari, Erdogan e il suo partito Akp sono favoriti. Al presidente tuttavia potrebbe non riuscire il colpo del 2014, quando fu eletto al primo turno con oltre il 50 per cento dei voti. Secondo i sondaggi, gode di circa il 40 per cento dei consensi e potrebbe essere costretto al ballottaggio con Muharrem Iİnce, candidato del partito repubblicano Chp. Il nuovo presidente sarà il primo a godere degli enormi poteri conferiti dal referendum dell’anno scorso, che ha cambiato l’assetto dello stato in presidenziale ed eliminato la figura del primo ministro. Le elezioni parlamentari sono più combattute: si affrontano una coalizione (Alleanza del popolo) tra l’Akp di Erdogan e il partito della destra nazionalista Mhp e una coalizione (Alleanza della nazione) tra il Chp e due partiti di centrosinistra minori (Sp e Iyi). La coalizione di Erdogan è avanti nei sondaggi, ma il centrosinistra sta corteggiando il partito curdo Hdp, il cui leader, Selahattin Demirtas, è in prigione con accuse politiche e potrebbe rivelarsi kingmaker.
Lo scorso marzo, poco prima di indire nuove elezioni, Erdogan ha fatto approvare una nuova legge elettorale che consente alla Commissione elettorale di modificare a piacimento la composizione dei collegi e di spostare le urne da un seggio all’altro. Inoltre, consente alle forze di sicurezza di entrare nei seggi se un elettore ne fa richiesta. Secondo gli osservatori, la legge mette in pericolo la validità del voto.