Chi è la nordcoreana che ha fatto perdere la testa a Trump
Choe Son-hui, viceministro degli Esteri, il 12 giugno potrebbe guidare i funzionari di Pyongyang a Singapore
Roma. Il presidente Donald Trump ha cambiato idea un’altra volta. Ieri ha detto che forse il vertice con il leader nordcoreano Kim Jong-un previsto per il 12 giugno a Singapore si farà, “a noi piacerebbe farlo, a loro piacerebbe tantissimo farlo”, ha detto. Soltanto ventiquattro ore prima era stata diffusa la famosa lettera, quella in cui per la prima volta un presidente americano si rivolgeva direttamente al “chairman Kim”, e in cui diceva: scusa, ma non possiamo vederci adesso se continuate a usare questi toni. Ma chiudeva anche con una frase formale che ora assume tutt’altro significato: non esitare a chiamarmi o scrivermi.
A scatenare la doppia piroetta di Trump – un modo, a quanto pare, soprattutto per fare pressione su Pyongyang – ci sono le dichiarazioni di alti funzionari nordcoreani che nelle ultime due settimane sono tornati a usare la retorica antiamericana di un tempo (per intenderci, un tempo pre-distensione olimpica). Da una parte c’è Kim Kye-gwan, classe 1943, diplomatico nordcoreano di lungo corso, viceministro degli Esteri in carica, ma soprattutto responsabile dei colloqui sul nucleare. E’ stato Kim Kye-gwan a rifiutare per primo il “bullismo” americano per quanto riguarda il “modello libico” (vedi articolo a fianco). E’ stato Kim Kye-gwan a rispondere alla richiesta di Trump e a dichiarare, ieri, che la Corea del nord è responsabile e vuole comunque parlare con gli Stati Uniti – a quel punto, c’è stata una telefonata tra Kang Kyung-wha, ministra degli Esteri sudcoreana, e il segretario di stato Mike Pompeo, che hanno “concordato” una strategia per mantenere aperta la porta del dialogo. Kim Kye-gwan, nell’ultimo comunicato ufficiale distensivo, fa riferimento diretto alle dichiarazioni di una collega che era stata particolarmente dura, soprattutto con il vicepresidente Mike Pence, che era stato accusato di esprimere “considerazioni ignoranti e stupide”.
Choe Son-hui è un nome molto conosciuto nell’establishment nordcoreano, ma non solo all’interno dei confini della penisola. Come Kim Kye-gwan, Choe è viceministro degli Esteri, ma è più bassa in grado (Kim è primo viceministro) ed è anche molto più giovane, sia professionalmente sia anagraficamente. Dopo anni in diplomazia, è stata nominata viceministro soltanto nel febbraio del 2018 – a distensione già avviata. Cinquantaquattro anni, Choe fa parte della nuova classe dirigente di Pyongyang, ma il suo nome non è certo quello di una outsider. E’ infatti la figlia di un uomo particolarmente vicino al cerchio magico della famiglia Kim, Choe Yong-rim, membro del Comitato centrale del Partito dei lavoratori e premier dal 2010 al 2013, cioè gli anni della transizione tra Kim Jong-il e suo figlio Kim Jong-un. Negli anni Cinquanta Choe è stato perfino parte della scorta personale del padre della patria, Kim Il-sung, per poi militare praticamente sempre negli uffici più vicini alla leadership.
Choe Son-hui, nata nel 1964, non è sua figlia naturale – ma di lei si sa solo che è stata adottata da piccola. Suo fratello si mormora possa essere il marito di Kim Yo-jong, sorella minore del leader supremo. E’ grazie alla posizione privilegiata del padre che Son-hui da piccola ha la possibilità di crescere a Pyongyang e poi di studiare all’estero, di sicuro in Cina, a Malta e in Austria. Lo dimostra il suo inglese impeccabile, e il suo stile tutt’altro che austero. Lo abbiamo visto spesso, nei suoi frequenti viaggi all’estero: la spilletta di Kim sempre appuntata sul petto, ma anche tailleur eleganti e colorati, borse firmate. E non sono dettagli inutili, perché danno la cifra di quanto la classe dirigente nordcoreana, da sempre raccontata come chiusa e monolitica, sia più normale di quanto pensiamo. Specialmente se consideriamo le nuove generazioni: grazie ai suoi studi all’estero, dal 2003 al 2007 Choe Son-hui ha fatto da aiutante e da interprete ai Six Party Talks tra Corea del nord, Corea del sud, Giappone, America, Cina e Russia. In seguito a quell’esperienza si è costruita una carriera diplomatica, e poi nominata responsabile degli affari nordamericani. Non è un caso che fosse lei, a Ginevra, un paio di anni fa, a guidare la delegazione nordcoreana volata in Europa per cercare di capire cosa avrebbe comportato per Pyongyang l’elezione di Donald Trump. L’altro ieri sono state le sue parole a mettere in discussione lo storico summit tra Trump e Kim, il 12 giugno potrebbe esserci lei a guidare i funzionari nordcoreani a Singapore.
Dalle piazze ai palazzi