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I primi En Marche

Mauro Zanon

Emmanuel Macron da un anno all’Eliseo. Un “volo di notte” (c’entra Antoine de Saint-Exupéry) cominciato in segreto con pochi fedelissimi

Parigi. “Nella vita non ci sono soluzioni. Ci sono forze in cammino: bisogna crearle, e le soluzioni vengono dopo”. Il nome di En Marche!, in cammino, porta le iniziali di colui che questo movimento lo ha lanciato, Emmanuel Macron, mettendo le basi per una rivoluzione liberale nel paese più statalista e statolatrico d’Europa. Ma in realtà, si tratta di una citazione del memorabile romanzo “Vol de Nuit” dello scrittore e aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry. E’ Fabien, protagonista di un volo notturno attraverso l’America Latina, a pronunciare questa battuta indimenticabile. Ed è Sylvain Fort, la futura plume dell’inquilino dell’Eliseo, a dedicare alla vita dello scrittore-pilota, cui è intitolato l’aeroporto di Lione, un libricino intenso, “Saint-Exupéry Paraclet”, dove Saint-Ex è presentato come un essere pascaliano, “limitato nella sua natura, infinito nei suoi desideri” (Lamartine), e sono inevitabili i paragoni con colui che durante la campagna elettorale veniva chiamato il “piccolo principe”. L’aspetto più curioso è che Fort, quando tutto ebbe inizio, nell’ottobre del 2015, non faceva ancora parte della squadra macronista. E non era lì nemmeno quando venne scelto il nome dagli echi saintexuperiani, nei primi mesi del 2016. Fu Ismaël Emelien, il fine stratega e consigliere per la comunicazione uscito da Havas, a suggerire quelle due parole che cambiarono per sempre la direzione della storia di Francia.

 

“Nella vita non ci sono soluzioni. Ci sono forze in cammino: bisogna crearle, e le soluzioni vengono dopo”

Il progetto transpartitico e la mobilitazione per raccogliere le aspirazioni e le inquietudini, i sogni e i desideri dei francesi

Il volo di notte di Macron inizia segretamente a Bercy, nell’autunno di tre anni fa, da ministro dell’Economia, dell’Industria e del Digitale. A Matignon, il primo ministro, Manuel Valls, osserva con diffidenza e inquietudine le mosse del giovane liberale che al festival del Monde ha appena detto che “il liberalismo è di sinistra”. E all’Eliseo, François Hollande, in caduta libera nei sondaggi di popolarità, non sa più come contenere le “macronades”, le provocazioni dell’ex banchiere di Rothschild che fanno rizzare i capelli al Partito socialista. Ma Macron, ormai, è deciso a intraprendere la propria strada, ad emanciparsi da quel governo in cui si sente troppo soffocato. “Et pourquoi pas lui?”, titola il settimanale della destra liberale parigina Le Point il 31 dicembre 2015, lasciando intendere, per la prima volta, che dietro i vetri del ministero dell’Economia, quel ragazzo di provincia che non ha nemmeno 40 anni e di cui tutta Parigi dice un gran bene sta iniziando a pensare a qualcosa di più ambizioso. “Quando incontro dei giovani la prima domanda che faccio è sempre questa: ‘Cosa sarete fra trent’anni?’ Due mi hanno risposto presidente della Repubblica: Pigasse (banchiere d’affari a capo di Lazard France e comproprietario del Monde, ndr) e Macron”, spifferò all’epoca Alain Minc, economista e consigliere politico tra i più ascoltati della République. La rivelazione di Minc, all’epoca, non viene presa troppo sul serio. Malek Boutih, deputato dell’ala riformista del Ps, invece, sospetta che ci sia qualcosa di molto concreto: “Macron ha conquistato lo spazio di Dominique Strauss-Kahn. I socialisti non hanno più un discorso economico, hanno soltanto un discorso assistenzialista, e questo apre una prateria a Macron”.

 

Boutih, a differenza degli altri luogotenenti del socialismo francese, che avevano sottovalutato le ambizioni del liberale di Amiens, ci aveva visto giusto. Perché a Bercy, nella più totale discrezione, è una banda di ex strausskahniani che anima le prime riunioni del progetto “oltre la destra e oltre la sinistra” che di lì a poco si chiamerà En Marche!. Ci sono il già citato Emelien, pilastro del movimento ed esperto di strategia elettorale formatosi a Sciences Po e al Polytechnique; Cédric O, consigliere politico passato per il gabinetto di Pierre Moscovici, quando quest’ultimo era al ministero delle Finanze, e futuro tesoriere di En Marche!; Stanislas Guerini, detto “Stan”, diplomatosi con ottimi voti all’Hec, che diventerà l’animatore dei più grandi meeting di Macron durante la campagna elettorale; Benjamin Griveaux, il più politico e del gruppo, oggi portavoce dell’esecutivo e aspirante sindaco di Parigi. A rue de la Planche, dove si trovava il quartier generale di Dsk per le primarie socialiste del 2006, li chiamavano i quattro moschettieri. Nel maggio del 2017, quando il candidato di En Marche! viene eletto presidente della Repubblica, la stampa parigina racconta “la rivincita dei Dsk boys grazie a Macron”, dopo la cocente delusione del 2011, quando il loro ex boss venne travolto dallo scandalo del Sofitel di New York.

 

A Bercy, nell’autunno di tre anni fa, da ministro dell’Economia, Macron decide di emanciparsi dal governo in cui si sente soffocato

All’inizio sono meno di dieci a partecipare alle riunioni: i consiglieri ministeriali “strausskahniani”, alcuni industriali e la moglie

Ma riavvolgiamo il nastro. Poco dopo la rentrée 2015, l’allora ministro dell’Economia, sfinito dai reiterati no del primo ministro alle sue proposte liberali, organizza i primi meeting fuori agenda con una sola idea in testa: lanciare un movimento a metà tra un laboratorio di idee e un partito politico. All’inizio sono meno di dieci a partecipare a queste riunioni a porte chiuse, di cui né l’Eliseo, né Matignon sono al corrente: i consiglieri ministeriali “strausskahniani”, alcuni industriali e la moglie, la sempre presente Brigitte. Macron manifesta la sua sfiducia verso le formazioni politiche tradizionali, afferma di non credere più al bipolarismo che ha retto la Quinta Repubblica per cinquant’anni, sostiene che la Francia ha bisogno di un movimento, sul modello di una start-up, che superi i vecchi steccati ideologici, e sul tavolo appoggia la prima bozza del progetto che sei mesi dopo presenterà nella sua Amiens. “L’associazione, facendo leva sulla partecipazione e sulla mobilitazione dell’insieme degli attori della società civile, aspira a costituirli in una forza di proposta permanente che permetta l’emergere di un’alternativa progressista. Vi contribuisce con la riflessione, con lo studio e l’azione puntuale, senza vietarsi di sostenere iniziative puramente politiche o di partecipare a campagne elettorali”, si legge nel documento. A un anno e mezzo di distanza dalle elezioni, ci sono già pochi dubbi sulle intenzioni di Macron, consapevole dell’urgenza di una svolta radicale che non può aspettare i tentennamenti di Hollande, né le mattane di Valls. Nel suo ufficio situato al terzo piano, l’allora ministro inizia a consultare intellettuali, studiosi e persone della società civile, scambia opinioni e prende appunti per approfondire la sua riflessione sul paese, si informa sulla macchina della militanza e soprattutto sul modo in cui si fa una campagna elettorale digitale. All’inizio del 2016, il settimanale Express dedica un pezzo alla “sfilata di Bercy”, cui partecipano pensatori di rilievo del dibattito delle idee francesi: Christophe Guilluy, geografo che ha concentrato la sua riflessione sulla spaccatura tra la Francia delle metropoli globalizzate e la Francia periferica, questione che diventerà centrale nel futuro programma di En Marche!; Gilles Kepel, islamologo ed esperto di terrorismo, che Macron consulta per capire in profondità le ragioni che spingono sempre più giovani a fare il jihad; Michel Houellebecq, intellettuale e autore di “Sottomissione”; Laurent Bouvet, politologo all’origine del concetto di “insicurezza culturale”; Olivier Mongin, filosofo ed ex direttore della rivista Esprit; Xavier Niel, patron di Free e creatore dell’école 42, con cui l’aspirante presidente discute sui temi dell’istruzione e dell’innovazione. Ma Macron, a Bercy, dibatte anche con figure più politiche, come Gilles Finchelstein, direttore della Fondation Jean-Jaurès, Thierry Pech, guida del pensatoio socialista Terra Nova, Laurent Bigorgne, presidente del laboratorio di idee Institut Montaigne, ed esponenti del mondo religioso tra cui Dalil Boubakeur, rettore della Grande Moschea di Parigi, Haïm Korsia, grande rabbino di Francia, e l’abbé Grosjean, prete cattolico specializzato nelle questioni di bioetica. “Macron ha un’enorme ambizione, ma vuole soprattutto cambiare il modo di fare politica, e ha voglia di farlo senza partiti. Michael Bloomberg ha cambiato New York senza i partiti”, dichiarò nel 2016 l’imprenditore Niel.

 

Fuori dal ministero, quando le voci di queste cene segrete iniziano a diffondersi, e nei corridoi dell’Assemblea nazionale si comincia a parlare del piano di battaglia segreto dell’incontenibile Macron, sono in pochi a scommettere sullo strappo del giovane ministro. “Non è mai stato eletto, non ha esperienza politica, dove vuole andare?”, dicono i suoi detrattori all’interno del Ps, che non credono nemmeno per un istante alla creazione di una struttura partecipativa che trascenda i partiti sul modello dell’associazione Désirs d’avenir di Ségolène Royal del 2007. “Non ucciderà mai il padre”, si autoconvincono i fedelissimi del presidente. E anche Hollande è sicuro che il suo pupillo non commetterà mai un parricidio (in un documentario diffuso due settimane fa dalla rete all-news Bfm.tv, “Le casse du siècle”, si racconta con dovizia di particolari che l’ex presidente non si era mai reso conto del “colpo del secolo” che l’Albert Spaggiari di Bercy stava preparando clandestinamente).

 

Il 6 aprile, ad Amiens, con grande sorpresa dell’Eliseo e di Matignon, Macron lancia il suo progetto transpartitico, tramite il quale vuole rompere i “blocchi della società” e federare le energie sparse nel paese. Due mesi dopo dà il via alla “Grande Marche”, una mobilitazione massiva dal sud al nord della Francia per raccogliere le aspirazioni e le inquietudini, i sogni e i desideri dei suoi concittadini. “Cosa funziona in Francia?”, “Cosa vorresti cambiare?”, chiedono gli “helpers” ai francesi di ogni strato sociale. Unendo Big Data e porta a porta, su idea di tre ragazzi geek che avevano assistito alla campagna di Barack Obama del 2008, Liegey, Muller e Pons, Macron ottiene una massa di informazioni socio-demografiche e uno spaccato del paese che fungeranno da base per la definizione del suo programma elettorale. La rete di militanti messa in piedi dai giovani collaboratori di Macron inizia a espandersi anche grazie alle iscrizioni gratuite su internet, raggiungendo in un solo anno quota 300 mila, mentre i vecchi partiti, aggrappati a logiche desuete, continuano a perdere militanti. “Il vecchio mondo sta crollando più rapidamente del previsto (…) Avanzando, mi rendo conto che la nostra organizzazione politica, amministrativa e mediatica non permette più di riformare questo paese. E’ insopportabile. C’è in me una volontà costante di non essere rinchiuso in una gabbia, di non cedere a delle regole ingiuste e inefficaci, di non accettare i blocchi che subisco nelle riforme e provare a costruire un’azione utile. E’ la mia legittimità, la mia bussola”, disse al giornalista Nicolas Prissette nel 2016. E ancora: “O esco dall’arena politica, o provo a cambiarla. Se non mi prendo delle responsabilità, se non provo a replicare alle regole, allora commetto ai miei occhi un pesante errore morale”. Macron, dall’arena politica, ci è uscito veramente, creando qualcosa che la Francia e l’Europa non avevano mai conosciuto. Oggi, a un anno di distanza, siamo qui a raccontare la parabola incredibile e vincente di questo Julien Sorel contemporaneo che da grande voleva fare lo scrittore e non il politico, ma spesso ci si dimentica di quanto quello strappo fu rischioso e di come quella scelta avrebbe potuto cancellarlo completamente dalla storia politica di Francia. Ma ecco, Macron ha avuto il merito di essersi messo in gioco, di averci provato, di aver forzato il destino. Nelle lunghe notti di consultazioni al ministero dell’Economia e nella grande mobilitazione 2.0 in tutta la Francia, c’è la chiave della sua vittoria: quella di un leader mosso dalla convinzione che per essere ascoltati, bisogna prima ascoltare. Chissà come finirà il volo di notte dell’aviatore Macron, chissà se una tempesta improvvisa, in un quinquennio che si annuncia turbolento, cambierà inaspettatamente la sua sorte. Convinto di essere “soltanto l’emanazione del gusto del popolo francese per i personaggi romanzeschi”, lui risponderebbe con la stessa frase che lanciò ai giornalisti subito dopo essersi dimesso da ministro, pronto a lanciarsi nella sua folle avventura: “Sky is the limit”.

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