Atene e Londra, come si sta sul ciglio dell'Ue
Chi appena dentro, come la Grecia, chi appena fuori, come il Regno Unito: non si sta comodi
Milano. Ogni convivenza ha la sua crisi, ci si deve un po’ adattare, cercare compromessi per ritagliarsi un angolo comodo sul divano. Gli europei in settant’anni di vita assieme hanno sperimentato ogni genere di assestamento, c’è chi ha chiesto qualche spazio extra, chi ha cambiato stanza, chi ha urlato finché non è riuscito a uscire di casa. Ma la vita lì, sul ciglio dell’Unione europea, sul perimetro di un’alleanza che pare spesso troppo ingombrante, non è affatto semplice: affannarsi per ritrovarsi sul punto di spezzare la convivenza rischia di essere un mestiere faticoso, ancorché inutile. La Grecia e il Regno Unito sono i due paesi che più di tutti raccontano quanto è difficile passeggiare su quel confine riuscendo a rimanere allegri: la Grecia è stata a lungo sul punto di uscire, un po’ per volontà politica un po’ perché pareva quasi inevitabile; il Regno Unito invece ce l’ha fatta, è fuori o almeno sostiene che lo sarà, firmerà l’addio ufficiale alla fine del marzo del 2019, ma la scelta è stata presa – dice il governo, dice il 52 per cento degli inglesi che ha votato per la Brexit al referendum di due anni fa – e non si può che cercare di rendere dignitosi i saluti finali. Ma provate a chiedere a greci e inglesi come stanno su quel ciglio, se sono felici.
La settimana scorsa i ministri delle Finanze dell’Eurozona si sono riuniti per cercare un accordo che permetta alla Grecia di uscire dal bailout dopo otto anni di salvataggi finanziari e di raccogliere fondi dai mercati internazionali. La scadenza del bailout è fissata per il 20 agosto e il governo di Atene con i creditori – la Commissione europea, la Banca centrale europea, il Fondo monetario – ha negoziato un piano di riforme in ottantotto punti (che riguardano soprattutto la riforma fiscale e le privatizzazioni) che deve essere approvato prima del prossimo Eurogruppo, il 21 giugno. Il primo ministro, Alexis Tsipras, dice di essere fiducioso, ce la faremo prima dell’inizio dei Mondiali aggiunge frivolo, mentre nei resoconti degli incontri compare la formula della “uscita di successo”, che fa fare un balzo ai nostri cuori già tribolati (si intende uscita dal bailout). Per la fine della settimana è previsto uno sciopero generale di 24 ore che, secondo gli organizzatori, è fatto per levare certezze a Tsipras, in quel cortocircuito che si è creato nella Grecia sul ciglio dell’Ue in cui si protesta per ogni cosa, che sia salvezza o che sia corsa fuori dal gruppo, perché la vita non è affatto migliorata, e il pur pragmatico Tsipras non è più la star del paese. Il Fmi è più pessimista degli europei riguardo alla sostenibilità del debito greco – 317 miliardi di debito, il 180 per cento del pil del paese – e chiede tagli al budget e riduzione del debito più di quanto faccia l’austerissima Germania (ormai nemmeno il cattivo è più lo stesso).
L’uscita di successo è anche quella che sogna il Regno Unito, uscita vera in questo caso, uscita dall’Ue e dai suoi legami stretti: sono stati presentati documenti con ogni sfumatura immaginabile, un passetto fuori alla volta, ma ancora non si è risolto il grande interrogativo che assedia il negoziato. Si può godere dell’Europa standone fuori? C’è chi risponde che così è troppo comodo, c’è chi si butta sulla creatività, chi risponde piccato che dei benefici europei nessuno se ne fa niente. Ora conservatori e laburisti dovranno decidere sulla permanenza nel mercato unico e sull’unione doganale, che è un po’ il motivo per cui decidi di star seduto sul divano un po’ scomodo o cambiare casa. Due anni dal referendum e siamo ancora qui – e no, non è consigliabile chiedere ai greci e agli inglesi se sono felici.