Cronache dell'antisemitismo europeo
A Bruxelles, non a Gaza, non c’è più un solo ebreo che indossi la kippah in strada (rabbino capo compreso)
Roma. “Cerchi qualcuno che indossi la kippah e che acconsenta a passeggiare con te e una telecamera? Buona fortuna!”. Questa frase, pronunciata da un membro della comunità ebraica di Bruxelles, riassume bene l’esperienza di Natacha Mann, una nota giornalista dell’emittente belga Rtbf che stava preparando un servizio sull’antisemitismo nel paese (dove ieri c’è stato un attentato a Liegi). “Volevamo percorrere le strade della capitale con una persona che mostrasse quotidianamente il proprio ebraismo” ha scritto la giornalista sul sito di Rtbf. “Volevamo vedere se queste paure fossero giustificate”. Ma dopo tre settimane di ricerca, Mann ha dovuto rinunciare. La comunità ebraica di Bruxelles è talmente spaventata che non un solo ebreo letteralmente ha accettato di indossare pubblicamente il più semplice e discreto dei simboli ebraici. Prima Mann ha contattato un paio di rabbini. Dopo aver scoperto il quartiere di Bruxelles in cui si sarebbe girata la scena, questi si sono rifiutati. Allora ha chiesto al rabbino capo, Albert Guigui. “Nel 2001 è stato attaccato ad Anderlecht e oggi è uno di quelli che non indossano più la kippah. All’inizio, Guigui aveva accettato di farlo per il nostro servizio, ma poi è ritornato sulla sua decisione. Il servizio di sicurezza lo ha dissuaso”. Mann allora è andata da altri responsabili della comunità ebraica. A uno ha chiesto: “Ti lamenti alla polizia quando senti insulti antisemiti?”. E il rappresentante della comunità le ha risposto: “Ti lamenti alla polizia quando gli uomini ti fischiano per strada?”. Alla fine, anche lui ha rifiutato. Allora, Mann ha chiesto a Joel Rubinfeld, il presidente della Lega belga contro l’antisemitismo, che normalmente non indossa la kippah, ma che per l’occasione aveva accettato di farsi filmare, a patto che fosse scortato da un agente di sicurezza in contatto con la polizia. Troppo complicato. Così, il servizio di Natacha Mann è andato in onda senza la scena della kippah. Intanto due gruppi di manifestanti filopalestinesi interrompevano un concerto a Bruxelles di un’orchestra americana a causa della presenza di Hélène Grimaud, nota pianista francese di origini ebraiche, al grido di “Palestina”. In Francia, usciva invece un sondaggio Ipof. “Il sionismo è una cospirazione ebraica per manipolare le società occidentali a vantaggio degli ebrei”. A questa tesi crede oggi il 53 per cento dei francesi.
Cronache dell’antisemitismo europeo. O della judéophobie, la dernière vague, come la chiama nel suo nuovo libro – appena pubblicato da Fayard – Pierre-André Taguieff, uno dei massimi studiosi francesi. “Abbiamo assistito alla lenta ricostruzione di una visione antiebraica del mondo”, scrive Taguieff. “Gli ebrei sarebbero un popolo-carnefice”. Secondo l’autore, “l’insicurezza fisica percepita dagli ebrei è accompagnata da insicurezza culturale”. Si tratta di una nuova cornice ideologica che accomuna le strade di Bruxelles e i sermoni di Hamas a Gaza, da dove sono state lanciate decine di missili alla volta del territorio israeliano.
Taguieff cita la frase di Khalil Koka, uno dei fondatori di Hamas: “‘Dio ha radunato gli ebrei in Palestina non per offrire loro una patria, ma per scavare le loro tombe e liberare il mondo dalla loro presenza inquinante’. E’ questo desiderio di sterminio che costituisce la passione trainante dell’antisionismo. Gli ebrei non sono più demonizzati come ‘semiti’, ma come ‘sionisti’, non più come una ‘razza’ nemica, ma come un popolo ‘razzista’. E nella loro lotta contro gli ebrei, questo permette di presentarsi come ‘antirazzisti’ o ‘antifascisti’. La retorica antirazzista è al servizio della giudeofobia”. E ha arruolato la più grande arma di dissuasione e di distrazione di massa, l’accusa di “islamofobia”.