Il premier Pedro Sánchez (a sinistra), insieme al presidente della Federcalcio spagnola, Luis Manuel Rubiales, in visita alla Nazionale prima della partenza per la Russia (foto LaPresse)

Lo spagnolo Sánchez fa un governo europeista nonostante Podemos

Eugenio Cau

Il nuovo esecutivo ha poco tempo e nessun appoggio. Ma proprio mentre l’Italia si sfila il premier vuole fare della Spagna la pietra angolare del progetto europeo

Roma. Il neo presidente del governo spagnolo, il socialista Pedro Sánchez, ha rassicurato i partner europei e i mercati presentando un esecutivo europeista e di alto profilo, che faccia dimenticare lo scarso margine di manovra a sua disposizione. Nato non da elezioni ma da un colpo di mano parlamentare che ha consentito di sfiduciare il conservatore Mariano Rajoy grazie all’appoggio dei populisti di Podemos e dei partiti indipendentisti, il governo Sánchez ha poco tempo e nessun appoggio: la legislatura termina in poco più di un anno, molti invocano elezioni anticipate, e con appena un’ottantina di deputati il governo ha il minor sostegno della storia democratica spagnola.

 

Sánchez dovrà districarsi in trattative impossibili con i suoi partner (tutti esterni: il governo è monocolore) di Podemos, già pronti alla rivoluzione d’ottobre, e con quelli dei partiti indipendentisti catalani e baschi, tutti a chiedere concessioni, indipendenze, autonomie. Senza maggioranza, il governo spagnolo sarà debole, ma intanto il paragone con quello italiano, nato negli stessi giorni, è stridente. Mentre la maggioranza gialloverde italiana è guardata con sospetto a livello internazionale per il suo euroscetticismo, Sánchez ha scelto come ministro dell’Economia Nadia Calviño, direttore generale per il Budget della Commissione Ue. Mentre in Italia il nuovo ministro della Salute ha espresso più volte scetticismo nei confronti dei vaccini, Sánchez ha scelto come ministro per la Scienza Pedro Duque, famoso astronauta e scienziato.

 

Mentre il governo italiano tentenna pericolosamente sul suo collocamento internazionale, Sánchez ha scelto agli Esteri un politico di fama specchiata ed ex presidente del Parlamento europeo come Josep Borrell. Forte di questo team di all-star, il premier vuole fare della Spagna la pietra angolare del progetto europeo proprio mentre l’Italia si sfila. Ieri il Financial Times ha riportato speranzoso un retroscena in cui si dice che Madrid appoggerà le riforme di maggiore integrazione politica ed economica dentro all’Unione promosse dal presidente francese Emmanuel Macron: se Rajoy era il miglior alleato della cancelliera tedesca Angela Merkel e del suo immobilismo istituzionale, Sánchez sarebbe “più vicino alla Francia”.

 

L’esecutivo Sánchez rimane comunque a trazione populista. Il nuovo presidente del governo non potrà muovere un muscolo senza l’appoggio di Podemos, e per approvare le leggi avrà bisogno di voti ulteriori, provenienti o dalle forze indipendentiste che l’hanno aiutato a far cadere Rajoy o dai centristi di Ciudadanos, che difficilmente si concederanno. Se il governo Rajoy, con 137 parlamentari a sua disposizione alla Camera e la maggioranza assoluta al Senato, è riuscito a far approvare appena una manciata di leggi in due anni, il suo successore difficilmente riuscirà a fare di meglio con 85 deputati.

 

La prima legge che il nuovo governo dovrà difendere in Aula, inoltre, sarà proprio la Finanziaria del suo predecessore, la cui approvazione è necessaria per rispettare gli impegni di stabilità macroeconomica e le promesse fatte agli indipendentisti baschi. Non solo: la storia politica del leader socialista insegna che, tutte le volte che ha dovuto scegliere tra la sinistra e il centro, Sánchez ha scelto la sinistra. Nel 2014, quando fu eletto per la prima volta segretario generale del Psoe, si definì accolito di Felipe González e di Matteo Renzi, si presentò come nuova speranza del riformismo progressista, ma poi, lontano dai palchi europei, ha sempre promosso politiche che niente avevano a che fare con la terza via blairiana. In questi anni di turbolenze elettorali, ha sempre cercato anzitutto l’alleanza con Podemos, mai quella con i centristi di Ciudadanos, e durante le primarie dell’anno scorso si è presentato come il candidato dell’intransigenza.

 

Il governo di all-star messo insieme da Sánchez, dunque, è più che altro un simbolo. Il leader socialista, dicono i retroscena sui media spagnoli, ha chiesto ai suoi fedelissimi dentro al partito di portare pazienza e ha riempito tutte le caselle con i nomi di più alto profilo che è riuscito a trovare. E’ quasi impossibile che Sánchez riesca a portare avanti riforme di peso: c’è da aspettarsi un’azione di governo fatta di grandi proclami irrisolti e di qualche provvedimento di facile approvazione, per esempio sul femminismo e sui diritti civili, che aiuteranno Sánchez a forgiare un’immagine di statista affidabile e progressista in tempo per la prossima tornata elettorale.

E tuttavia perfino i simboli hanno un valore, e in un momento in cui tutte le capitali europee sono poste davanti a una scelta – apertura contro chiusura, europeismo contro euroscetticismo, fiducia contro sospetto, responsabilità contro populismo – Sánchez ha deciso di prendere posizione insieme con Macron e Merkel, non con Putin e Orbán. Noi italiani non possiamo dire lo stesso.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.