Chi prova a destabilizzare l'Europa
Chi è l’ambasciatore Richard Grennell che ha ricordato all’Unione europea cosa sono le forze esterne che caldeggiano l’avanzata delle forze populiste
Roma. Prima l’Europa sapeva che all’origine dei tentativi di destabilizzare i paesi membri c’era la Russia, che cercava di interferire nelle elezioni locali, era in grado di sponsorizzare e forse anche di portare alla vittoria candidati euroscettici. Poi le parole dell’ambasciatore americano a Berlino, Richard Grenell, hanno svelato che la realtà può essere ancora più rischiosa. Che il pericolo non è solo Mosca, ma anche a Washington c’è chi caldeggia l’avanzata delle forze populiste.
Steve Bannon, ex consigliere di Donald Trump, ex direttore di Breitbart, il sito al quale Grenell ha rilasciato l’intervista, aveva detto di voler radicalizzare l’Europa e a Roma aveva lodato l’Italia, convertitasi in un laboratorio di populismi. Grenell, nominato dal presidente americano a settembre 2017, è un trumpiano della prima ora ed è sempre vicino agli ambienti repubblicani. Il primo incarico diplomatico lo aveva ricevuto da George Bush ed è poi diventato portavoce alle Nazioni unite, il più longevo della storia, è sopravvissuto a ben quattro ambasciatori. Ma il diplomatico che ha sconvolto l’Europa con le sue affermazioni è soprattutto un comunicatore. Come Bannon ha una grande passione per televisioni e giornali e durante la presidenza Obama ha fondato una società di consulenza per i media. Ha lavorato per Fox News, ha scritto per il Wall Street Journal e ha offerto pareri e suggerimenti a tutte le maggiori testate americane. Insomma è uno che sa come usare la comunicazione, le sue parole a Breitbart non sono state pronunciate a caso, ma evidentemente esprimono delle intenzioni che non appartengono solo a lui, ma anche a una parte dell’entourage del presidente americano, di cui faceva parte lo stesso Bannon.
Le frasi di Richard Grenell, a Berlino da aprile, sono sintomo di una crisi tutta interna all’Europa che non solo è rimasta orfana di se stessa, ma anche dei suoi riferimenti internazionali. Grenell, che in questo mese e mezzo in Germania ha frequentato soprattutto Jens Spahn, ministro della Salute tedesco e tra i più critici nei confronti di Angela Merkel, ha detto di sentirsi eccitato per l’ondata populista che sta investendo l’Ue e ha promesso di aiutare i populismi ad avanzare, quindi la sua intenzione è quella di influenzare le future scelte dell’Europa. Nel corso dell’intervista dice di stimare in modo particolare Sebastian Kurz, il giovane cancelliere austriaco, leader del Partito popolare, che per governare ha accettato l’alleanza con l’ultradestra dell’Fpö di Heinz-Christian Strache. Eppure Kurz, che Grenell definisce “una rockstar”, sostiene un’apertura dell’Unione verso la Russia – infatti Putin è andato proprio in Austria per la prima visita ufficiale in Europa del suo quarto mandato – e non hai mai riservato particolari attenzioni nei confronti degli Stati Uniti. Nell’idea dei vari Bannon, Grenell e Wess Mitchell, analista politico e sottosegretario di stato per i rapporti con l’Europa, i paesi occidentali dell’Ue sono colpevoli di non aver preso abbastanza sul serio le sfide strategiche sostenute dagli Stati Uniti e i paesi orientali stanno diventano il nuovo perno della politica europea dell’Amministrazione Trump. Se cresce la simpatia per Orbán, Kurz e Kaczynski – la Polonia ha anche promesso agli Stati Uniti che destinerà più soldi alla Nato – l’antipatia nei confronti di Angela Merkel sta diventato un problema per i futuri rapporti tra Washington e Bruxelles. Non a caso a Berlino è stato mandato un trumpiano di ferro. L’europeismo è rimasto solo a combattere contro troll russi e a questo punto anche americani.
Ieri Vladimir Putin ha risposto alla linea diretta con i cittadini, evento che si tiene una volta l’anno, e nel parlare di restrizioni e sanzioni il presidente russo ha accusato gli Stati Uniti di aver sanzionato l’Europa attraverso l’introduzione di dazi, le tariffe per colpire le esportazioni di alluminio e acciaio entrate in vigore dal primo giugno, provando così a empatizzare con le nazioni più colpite dalle politiche commerciali trumpiane, che di fatto sono quelle che categoricamente si rifiutano di togliere le sanzioni alla Russia: Germania e Francia.
Il Vecchio continente è diventato terreno pericoloso di sguardi che non si incrociano mai. Gli Stati Uniti cercano lo sguardo dell’Europa dell’est, che però è rivolto alla Russia. Mosca, con diffidenza, gli dà attenzioni mentre sembra voler consolidare il rapporto con Germania e Francia. Merkel e Macron si guardano tra loro, con sempre meno amore, consapevoli di non poter fare affidamento su Roma, ogni tanto lanciano un’occhiata furtiva alla nuova Spagna di Sánchez e poi alla Gran Bretagna, per poi ricordarsi che non è più europea.