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Il mistero degli attacchi sonori contro gli americani arriva in Cina

Giulia Pompili

Almeno un paio di famiglie evacuate dal consolato di Guangzhou. Un’arma sconosciuta oppure un caso di isteria di massa?

Roma. Mal di testa, perdita di equilibrio, disordine del sonno, più o meno gravi disturbi neurologici. Sono i sintomi che da qualche settimana affliggono alcuni dipendenti del consolato americano di Guangzhou, nel nord-ovest di Hong Kong, in Cina, dopo che erano stati rilevati alcuni “suoni inusuali” nell’area. Il Dipartimento di stato ha inviato una squadra di medici che monitoreranno la situazione e faranno check-up su chiunque si senta a rischio, mentre almeno due dipendenti e le loro famiglie sono stati rimpatriati. Il numero esatto delle persone che hanno avvertito i sintomi non è stato ancora rivelato, ma il mistero degli “attacchi sonori” in Cina somiglia sempre di più a quello dell’ambasciata americana a Cuba.

 

Due anni fa più di venti cittadini americani si ammalarono, forse, per le conseguenze di un possibile attacco a ultrasuoni – mai confermato, per la verità: i falchi parlarono di una nuova arma usata dai servizi segreti stranieri contro i cittadini americani, i meno complottisti parlarono di un malfunzionamento del sistema di sorveglianza, che in caso di interferenze può dar vita a suoni quasi impercettibili.

 

La commissione medica d’inchiesta si è insediata all’inizio di quest’anno, mentre riporta il Financial Times che un precedente report dell’Fbi aveva posto dei dubbi sulla possibile connessione tra i suoni e i sintomi. Il fatto è che anche la comunità scientifica è divisa, la letteratura scarna. Timothy Leighton, che studia gli ultrasuoni all’Università di Southampton – uno dei massimi esperti sulla questione – ha detto a vari media che i sintomi sono reali, ma non è detto che “le anormalità della materia bianca del cervello”, rilevate in soltanto tre soggetti e riportate nello studio condotto dall’Università della Pennsylvania sui casi di Cuba, siano direttamente collegate ai suoni e non alla normale attività del corpo umano. Inoltre, più persone sospettano che l’isteria collettiva possa essere tra le cause dei sintomi. In ogni caso, dopo l’incidente di Cuba, Trump aveva espulso 15 diplomatici come punizione per aver “fallito” nel garantire la sicurezza dei diplomatici statunitensi.

 

Il fatto che gli stessi sintomi siano comparsi nel sud della Cina, a novemila chilometri di distanza, e sempre su soggetti in possesso di passaporto americano, è quantomai sospetto. La notizia del primo caso cinese era arrivata a fine maggio proprio dal Dipartimento di stato, che aveva lanciato un avviso di viaggio dopo che un dipendente del consolato aveva avvertito uno strano suono e gli stessi sintomi di Cuba. Mark Lenzi, uno degli evacuati da Guangzhou e vicino di casa del soggetto del primo caso, ha raccontato di aver iniziato a sentire strani suoni un anno fa, e poi di aver iniziato con i mal di testa, così anche sua moglie e suo figlio.

 

La notizia arriva in un momento complicato per i rapporti tra Pechino e Washington, e il clima da Guerra fredda non aiuta. “Il sospetto che la Cina abbia lanciato un attacco sonoro può provocare l’allucinazione che alcuni diplomatici americani soffrano di malesseri misteriosi. Se gli Stati Uniti cominciassero a credere che la Cina non fa questo genere di cose, probabilmente sparirebbero anche i sintomi”, ha scritto su Twitter Hu Xijin, direttore del Global Times cinese, come al solito non senza una nota d’ironia. Nel frattempo la campagna cinese di reclutamento di fonti d’intelligence in America non si ferma: tre giorni fa un dipendente dell’agenzia per la Sicurezza è stato accusato di aver preso 800 mila dollari per vendere segreti a Pechino. In vista del vertice tra il presidente Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un, il controspionaggio americano sta facendo gli straordinari, riportava ieri la Nbc News: “I cinesi sono noti per aver cercato in ogni modo di mettere sotto controllo ogni cosa – dalle chiavi degli alberghi ai doni consegnati agli americani – e a Singapore tireranno fuori tutte le più sofisticate tecniche di intelligence”. Gli americani non possono fidarsi di nessuno, nemmeno di quello che sentono dalle loro orecchie.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.