Cosa ci fa un laburista blairiano alla corte di Jeremy Corbyn?
John McTernan si è iscritto a Momentum, il movimento politico radicale della sinistra Uk. Ma non ha cambiato le sue idee
Milano. John McTernan, esperto di cose politiche, colonna del New Labour targato Tony Blair, di cui è stato consigliere ufficiale al 10 di Downing Street dal 2005 al 2007, è a Roma in questi giorni, invitato da Volta, think tank di area progressista (di cui chi scrive fa parte). Il tema della discussione che McTernan è stato chiamato a stimolare non è però il rivangare nostalgico di una stagione, quella della Terza Via, che non solo non è più considerata attuale, ma che da più parti viene oggi indicata come la ragione dello stato comatoso del progressismo, per via di quel suo flirt con la globalizzazione e con l’ottimismo mentre larghe fette di popolazione occidentale covavano la rabbia per una loro supposta esclusione dalla cavalcata progressista verso la società aperta iniziata nei 90. Sembrano discorsi di un altro tempo, e forse lo sono, e il motivo del viaggio italiano di McTernan non fa che rimarcare il cambio epocale in atto: lui, blariano doc e stratega neolaburista, nel 2017 si è iscritto a Momentum, il movimento radicale che in un paio di stagioni ha conquistato il Labour da sinistra e ha fatto eleggere Jeremy Corbyn a capo del partito. Un’opa ostile quella di Momentum, con annessa caccia alle streghe nei confronti di “modernizer” vari, come vengono chiamati con spregio dai sostenitori del nuovo leader gli appartenenti alle ali più moderate della sinistra inglese. Il mantra è fare piazza pulita di tutto ciò che odora di centro e di moderazione, per riportare la sinistra a una fantomatica età dell’oro, fatta di statalismo e avversione al sistema capitalista. Cosa ci fa, quindi, uno come John McTernan in Momentum? “Ero stufo di essere il vecchio arnese al tavolo che diceva sempre ‘no, non si può fare così’. A un certo punto mi è capitato di avere una conversazione con un giovane sostenitore di Corbyn e di chiedergli cosa gli piacesse della sua piattaforma, e quando mi diceva delle sue proposte sul social housing – racconta McTernan al Foglio – e io ribattevo che non erano realizzabili, mi ha fatto capire che ormai avevo il tono di quello per cui non si poteva cambiare più niente. Lì ho capito, in quanto progressista, che forse avrei dovuto cercare di sfruttare il nuovo entusiasmo di Momentum per ridare vita al Labour e alle mie idee. Non potevo essere diventato proprio io quello per cui non c’era più niente da fare”.
Idee che però non coincidono con quelle di Momentum, le sue. “E’ vero, ma vedi, io non arretro di un millimetro sui miei princìpi. Semplicemente rifiuto la visione secondo la quale il New Labour fosse il centro e loro siano la sinistra. Il New Labour era fieramente progressista, e il che vuol dire avere ideali, visione, avere un piano. E’ così che abbiamo cambiato le cose, ed è quello che voglio tornare a fare”. Arriviamo qui alla fatidica domanda su cosa si è sbagliato allora, se i progressisti hanno davvero cambiato le cose e però si ritrovano oggi nello stato in cui sono. Su questo McTernan ha le idee chiare: “Credo sia mancato il nostro racconto della grande crisi finanziaria. Non l’abbiamo spiegata, non ce ne siamo occupati, presi com’eravamo dal governare, e così, oggi che non governiamo più, la nostra mancanza di visione su quanto successo ci ha fatto passare come i soli colpevoli”. Quanto McTernan racconta, il compromesso sotto la bandiera progressista delle frange più arrabbiate e radicali con pragmatici come lui sembra essere in totale antitesi con quello che Steve Bannon teorizza ormai liberamente dalle terrazze romane: un’internazionale populista che va da Sanders a Trump, da Melenchon alla Le Pen, sull’esempio del nuovo governo italiano. Concorda McTernan, ma aggiunge che i nuovi elettori di Corbyn targati Momentum sono molto meno monolitici di come li facciamo, ad esempio sono molto più contro la Brexit di quanto sia il loro leader. Hanno voglia di credere in qualcosa. Insomma, va tolto ai populisti, anche a quelli di sinistra, l’idea che ci sia una battaglia in corso fra idealisti ed entusiasti, loro, e pragmatici e manageriali, noi. “Abbiamo una grande forza dalla nostra: l’esperienza nel saper trasformare in policy i reali bisogni della classe media e di quelle meno abbienti. Bisogna però concentrarsi meno sugli ultimi trent’anni, e questo vale sia per i nostalgici della Terza Via sia per quelli ossessionati dal cancellare Blair, e più sui prossimi trenta”. Sì, ma perché Momentum dovrebbe essere il posto giusto da cui farlo, visto che i suoi iscritti sono i primi ad alimentare lo scontro di cui sopra? “Perché, se non altro, partono da grandi domande, spesso giuste, e provano a dare delle risposte, spesso sbagliate. Ed è qui che noi progressisti possiamo tornare a incidere: le risposte giuste alle grandi domande. A patto di rimetterci in gioco”.