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Il romanzo che vi spiega la stretta di mano tra Kim e Trump meglio di un saggio

Giulia Pompili

“Stella del Nord” è una storia inventata ma vera. Lo scrittore D. B. John ci racconta la distopia coreana

Roma. Può un romanzo essere più efficace di un saggio nel descrivere la realtà? “Il romanzo ti dà la possibilità di entrare nei personaggi, in una storia, e da quel punto di vista intimo e personale si capiscono molte più cose”, racconta al Foglio D. B. John. Scrittore originario del Galles, nel dicembre del 2011, dopo la morte del leader Kim Jong-il in Corea del nord, guardando in tv le immagini dei nordcoreani disperati per strada, delle manifestazioni oceaniche di lutto, ha deciso che era arrivato il momento di capire qualcosa di più su quello che viene definito “il regno eremita”, ma solo se per eremita si intende l’incapacità occidentale di creare una connessione e infine, in qualche modo, comprendere la Corea. “Quando ho consegnato le prime bozze alla casa editrice, ricordo che l’editor diceva: non può essere vero. Ho dovuto concludere il volume con delle note, una specie di bibliografia”. Tutto per dimostrare che la storia narrata in “Stella del Nord”, da poco in libreria per DeAPlaneta (528 pp., 18 euro), è sì fiction, ma i dettagli, gli ambienti, perfino le dinamiche sociali in cui si muovono i personaggi sono tutti estremamente realistici.

  

Per prepararsi alla stesura, D. B. John ha studiato, ha parlato con le persone – esperti come Victor Cha, negoziatore della presidenza di George W. Bush, e con i più famosi “defector”, i rifugiati nordcoreani – ma soprattutto ha viaggiato in Corea del nord: “Quando sono tornato a casa l’esperienza mi aveva lasciato tristezza e rabbia. Quando viaggi da turista, il regime naturalmente ti fa vedere soltanto quel che vuole. E’ come visitare il set di un film. C’è un gap enorme tra la propaganda e la realtà: le persone in Corea del nord credono davvero di vivere in un grande paese libero. E’ la vera distopia”. Ed è anche per questo che il romanzo, in questo caso, è forse il genere che più si addice al racconto dell’anima nordcoreana. “Quando poi sono andato a vivere qualche mese a Seul, mi sono reso conto dell’enorme differenza, per esempio nei bambini, al Sud studiano per diventare dei geni della matematica, al Nord studiano le vite dei Kim”.

   

La protagonista della storia è Jenna Williams, docente alla Georgetown di Washington, una delle più esperte sulle questioni nordcoreane. Viene reclutata dalla Cia, in vista dei colloqui che stanno per aprirsi tra funzionari nordcoreani e membri dell’Amministrazione della Casa Bianca (ricorda qualcosa?). Jenna finisce in un mondo diverso da quello accademico, che la tocca nel profondo: quando era ancora una bambina, e viveva sull’isola di Baengnyeong, l’isola sudcoreana più vicina al confine marittimo con il Nord, sua sorella Soo-min era stata rapita. Tutti la credevano annegata, ma non era così. E la storia di Soo-min somiglia in modo incredibile a quella vera di Megumi Yokota, la ragazzina giapponese che nel 1977 fu rapita sulle coste giapponesi dai nordcoreani: “Ancora oggi l’opinione pubblica giapponese è scioccata. Pensa a quante persone spariscono ogni anno in un paese. Quando il Giappone ha saputo del programma di rapimenti nordcoreano, è come se a ognuna di quelle famiglie fosse piombata addosso una domanda: e se fosse in Corea del nord?”. Ma non c’è solo la credibilità dei personaggi a rendere questo romanzo migliore di alcuni saggi grossolani e superficiali, pieni di inesattezze e di propaganda, ma spacciati per seri studi di livello – “la fiction può darti uno sguardo dall’interno e raccontarti, per esempio, la paranoia che vivono i cittadini nordcoreani nella loro vita quotidiana”, dice D. B. John. L’accuratezza si trova anche in alcuni dettagli, come la descrizione del mercato nero nordcoreano, fatto di biscotti sudcoreani contrabbandati come i Choco Pie, che fanno parte della rivelazione che prova Moon al Nord. E poi del sistema d’intelligence, come quando arrivata a Langley, Jenna scopre che l’agenzia non dispone di agenti sul campo in Corea del nord: “‘Davvero? Io…’. Jenna si mise dietro un orecchio una ciocca di capelli. ‘Beh, mi sorprende che il più potente servizio spionistico del mondo non abbia…’. ‘Forse hai visto troppi thriller’, la interruppe lui con una risata amara. ‘Laggiù non abbiamo fonti. Nessun alto ufficiale dell’esercito coreano. Nessuno scienziato disilluso che rivela segreti nucleari. Nessuna fascinosa mantide nella brigata del piacere di Kim Jong-il. Niente’”. E oggi, che siamo quasi a un passo dalla stretta di mano tra il presidente americano Donald Trump e il giovane leader Kim Jong-un, la Corea del nord potrà aprirsi? “Il nucleare è alla base del regime. Pyongyang vuole rispetto, vuole essere riconosciuta come potenza nucleare, e quella stretta di mano sarà una grande opera di propaganda”, dice D. B. John.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.