La deriva orbaniana di Salvini è un messaggio devastante per le nostre aziende
Il ministro dell’Interno torna ad attaccare le Open Society Foundations di George Soros. Ma così fa passare il messaggio che è meglio chiudere le università piuttosto che investire, anche da privati, per contribuire alla formazione e alla ricerca
Prosegue la pericolosa deriva orbaniana del nuovo Governo italiano. Al Senato il ministro dell’Interno Salvini ha di nuovo duramente attaccato le Open Society Foundations di George Soros, ree di finanziare alcune delle ong che salvano vite umane nel Mediterraneo.
Gli attacchi di Salvini ricalcano sempre di più la campagna denigratoria di Viktor Orbán, che in Ungheria indica Soros come capro espiatorio di tutti i mali. Orban ha posto in dubbio la permanenza a Budapest della Central European University, una prestigiosa università fondata da Soros; ha riempito il Paese di poster che rappresentano Soros come il burattinaio dell’opposizione democratica; ha accusato Soros di preparare un piano per inondare l’Ungheria di migranti; e ha ordinato una “consultazione nazionale” per dimostrare che il popolo ungherese è contrario a questo piano.
Soros non è un santo, e non è un mio amico. Il suo riuscito tentativo di speculazione finanziaria per fare uscire il Regno Unito dallo Sme nel 1992 è stata una pagina grave e buia dell’integrazione europea. Però a Soros va riconosciuta la generosità di aver voluto mettere a disposizione una parte della sua ricchezza per contribuire a creare sviluppo nel mondo. Le sue Open Society Foundations sono la seconda fondazione filantropica americana dopo la Bill & Melinda Gates Foundation. Nel 2017, lo stesso Soros ha contribuito con 18 miliardi di dollari alle sue fondazioni, che negli anni hanno sostenuto progetti per i diritti umani, l’istruzione, la democrazia, la giustizia, l’informazione e la salute pubblica.
Attaccando Soros e idolatrando Orban, Salvini fa passare il messaggio che è meglio chiudere le università piuttosto che investire, anche da privati, per contribuire alla formazione e alla ricerca. Indirettamente afferma che predilige chi, come Trump, la propria ricchezza l’ha usata per allargare il proprio patrimonio immobiliare, e non per attività filantropiche. E rifiuta l’idea che i privati e le imprese possano dare un contributo positivo alla società, investendo in attività di responsabilità sociale d’impresa.
Proprio quest’ultimo è un messaggio devastante per le nostre aziende. In questi anni, si è lavorato tanto perché anche i privati contribuiscano al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) e degli obiettivi climatici di Parigi. Dal 2000 ad oggi, oltre diecimila aziende si sono iscritte al UN Global Compact, un'iniziativa delle Nazioni Unite nata per incoraggiare le aziende di tutto il mondo ad adottare politiche sostenibili e nel rispetto della responsabilità sociale d'impresa e per rendere pubblici i risultati delle azioni intraprese. Ormai c’è una consapevolezza diffusa che il valore vero di ogni investimento sia dato non solo dal profitto che crea, ma anche dalla sua sostenibilità sociale ed ambientale. E questo è fondamentale perché si instauri un nuovo paradigma, grazie al quale i cittadini, le fondazioni, il settore privato e quello pubblico collaborano per creare benessere e uno sviluppo inclusivo e condiviso.
La responsabilità sociale d’impresa viene dissacrata dalla visione sovranista di Salvini, che evidenzia ancora una volta la sua difficoltà a comprendere i vantaggi a medio-lungo termine della cooperazione. È compito di tutte le forze democratiche continuare a lavorare con responsabilità sociale e attenzione alla sostenibilità. Passa anche da qui la battaglia culturale fra sovranisti e democratici. È importante non abbassare la guardia. Ognuno di noi può e deve dare il proprio contributo.
Gianni Pittella è senatore del Partito democratico