La sede di Comcast a Philadelphia (foto LaPresse)

“Buy or die”: At&t e Comcast segnano la strada per la sopravvivenza dei media

La battaglia di Trump, gli affari di Murdoch

New York. Martedì un giudice federale americano, Richard Leon, ha dato il via libera all’acquisizione di Time Warner da parte di At&t, un’operazione da 85 miliardi di dollari che porta sotto lo stesso tetto la prima pay tv americana, il secondo provider di telefonia mobile e un pacchetto mediatico-televisivo che comprende fra le altre cose Cnn, Hbo e Warner Bros. La manovra era stata ferocemente avversata dal dipartimento di Giustizia sulla base di dichiarate motivazioni di antitrust, e da Donald Trump per altre ragioni non molto difficili da afferrare: per il presidente i media sono il nemico – lo ha ribadito anche in occasione dell’incontro con Kim Jong-un – e la logica del consolidamento e dell’allargamento delle alleanze è la strada maestra per sopravvivere in un mercato dove la Silicon Valley è entrata di prepotenza con piattaforme di distribuzione imbattibili e liquidità pressoché infinita per produrre contenuti.

 

L’idea di poter danneggiare la Cnn, che per Trump è sempre sul gradino più alto nel podio delle fake news, mandava in solluchero il presidente. In 172 pagine il giudice Leon spiega che il blocco imposto dal dipartimento di Giustizia è “chiaramente ingiusto” e diffida l’Amministrazione dal porre nuovi ostacoli a un’operazione che rispetta il mercato e la concorrenza. A caldo si è detto che la sentenza su At&t era importante non solo per l’affare in sé, ma perché, in caso di vittoria del colosso della telefonia, avrebbe aperto le porte ad altre acquisizioni e fusioni che nel frattempo erano state messe in congelatore, in attesa di valutare l’atteggiamento dei regolatori e del governo. Gli altri player non si sono fatti attendere. Comcast, il più grande provider di servizi internet in America, ha fatto un’offerta da 65 miliardi per 21st Century Fox, un segmento dell’impero di Rupert Murdoch per il quale la Walt Disney aveva già formalizzato un’offerta. Comcast offre però 35 dollari per azione, con pagamento cash, contro i 29 che Disney mette sul piatto sotto forma di titoli, motivo per cui il board ha subito dichiarato che “prenderà sul serio l’offerta”. Brian Roberts, amministratore delegato di Comcast, ha scritto in una lettera a Murdoch che questo affare “è più probabile che riceva l’approvazione dei regolatori rispetto alla transazione con Disney”, un’affermazione tutta da verificare, visto che Comcast, gestore della banda, avrebbe un incentivo a valorizzare i contenuti di Fox e a rasentare quelli altrui, sullo sfondo di una riforma politica della net neutrality che ha in parte invalidato gli sforzi dell’Amministrazione Obama.

 

Roberts ha poi espresso in sintesi la sua visione di lungo periodo: “Crediamo fortemente che le vere grandi media company del prossimo secolo saranno entità globali integrate”. E’ la convinzione che sta alla base del motto “buy or die”, stella polare di tutte le aziende del settore dei media che, non avendo i 131 milioni di iscritti paganti di Netflix, la capitalizzazione di Apple o le infrastrutture di Amazon devono acquistare o fondersi per competere. Non è una tendenza recente, ma lo sbarco dei giganti della tecnologia nel mondo dei media – che questi ammettano o meno il loro ruolo di “media company” – ha reso febbricitante un settore che teme di essere spazzato via dalla storia, magari con l’aiuto di Trump, che può contare sull’appoggio di Fox News, sul conglomerato di tv locali di Sinclair, su Meredith, gruppo dell’Iowa che anche grazie ai denari dei fratelli Koch ha comprato il Time, e su altri gruppi simpatetici. Nel 1984 la maggior parte del mercato dei media era diviso fra cinquanta aziende indipendenti, oggi la stessa torta è divisa fra sei player soltanto, a loro volta impegnati nel tentativo di comprarsi o fondersi. Imitando l’esempio della Silicon Valley, la vecchia guardia tecno-mediatica punta a riunire le capacità di distribuzione tecnologica e la produzione di contenuti: “Fra circa cinque anni raggiungeremo lo stadio in cui tre o quattro conglomerati verticalmente integrati con una presenza nella segmento del wireless, del cavo e dei contenuti potrebbero competere fra loro”, come si legge in un’analisi di Barclays.

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