Chi è Christophe Castaner, la voce del macronismo
Il presidente di En Marche!, nonché segretario di stato per le Relazioni con il Parlamento, è stato uno degli artefici della révolution liberale di Macron. Ora dovrà trasformare Lrem in un partito
Parigi. Nei ranghi del Partito socialista, dove ha militato per trent’anni prima di raggiungere Emmanuel Macron e essere uno degli artefici della sua révolution liberale, dicevano che era un “sempliciotto”, un provinciale con l’accento poco glamour del sud-est, senza alcuna possibilità di far parte, un giorno, della Francia che conta. Ma Christophe Castaner, quelle malelingue, le ha messe a tacere, e ora da presidente della République en marche (Lrem) e segretario di stato per le Relazioni con il Parlamento gode della massima fiducia dell’inquilino dell’Eliseo, con cui i rapporti sono eccellenti.
I due si sono incontrati per la prima volta sei anni fa, ai tempi in cui Macron era un perfetto sconosciuto fuori dall’Eliseo, mentre all’interno del palazzo presidenziale, da vicesegretario generale di François Hollande, si faceva già notare per il suo dinamismo.
“L’ho incontrato nel 2012 quando era all’Eliseo. Nel giro di poco più di quattro minuti, mi sono detto: ‘Wow’. Mi sono reso conto che capiva tutto, meglio, e più rapidamente degli altri. Di persone come lui, ne nascono una ogni cinquant’anni”, ha dichiarato lo scorso settembre al settimanale Point, rivendicando addirittura una “dimensione amorosa” nel rapporto intellettuale con il capo dello stato. “Il mio livello di esigenza è tale che, se devo avere un capo, devo ammirarlo. E Emmanuel è affascinante. In lui c’è tutto: il percorso, l’intelligenza, la vivacità e anche la potenza fisica”, ha aggiunto Casta, come lo soprannominano i suoi amici e colleghi. L’ammirazione sfiora la devozione. Lo ha definito con un’immagine calcistica molto evocativa lo “Zlatan (Ibrahimovic, ndr) della politica”, e poco importa se i suoi avversari politici lo hanno etichettato con toni velenosi la “groupie” del presidente. È un macronista di ferro, e fiero di esserlo, dal 2016, quando assieme a Richard Ferrand, oggi capogruppo dei deputati Lrem all’Assemblea nazionale, è stato relatore della legge per la crescita, l’attività e l’uguaglianza delle opportunità economiche, meglio conosciuta come “legge Macron”: l’unica lenzuolata di liberalizzazioni del quinquennio Hollande, che ha fatto respirare l’asfittica economia francese.
Nell’aprile del 2016, Macron lancia En Marche! e Castaner non ci pensa due volte ad abbracciare il progetto transpartitico del liberale di Amiens.
“La politica è essere al posto giusto al momento giusto, senza sapere per forza cosa succederà in seguito”, ha dichiarato a Libération. Macron chiama Casta per ricoprire il ruolo di portavoce del nuovo movimento e durante la campagna elettorale è lui il volto televisivo del macronismo. Il suo francese gaudente di uomo del Sud, e la spontaneità disarmante con cui risponde alle domande dei giornalisti, hanno conquistato gli elettori nei mesi di campagna. Ma nel microcosmo macronista, Castaner è stato lodato soprattutto per il modo in cui ha messo in difficoltà i luogotenenti dell’allora Front national (Fn), a partire da Florian Philippot, braccio destro di Marine Le Pen: al punto da essere citato come esempio durante le sessioni di formazione ai dibattiti di En Marche!. “Con il Fn, non serve a nulla parlare di teoria. Bisogna metterli all’angolo, porre loro delle domande precise. Siccome non vanno in profondità quando lavorano, finiscono sempre per fare un errore”, spiegava ai ragazzi della start-up En Marche!. Lasciando intendere che, certamente, bisogna anche avere un certo talento innato: “Ho assistito a una lezione di Laurent Fontaine (ex animatore vedette di Tf1, il primo canale televisivo francese, ndr), che era responsabile della formazione per le performance tv di En Marche!, poi basta. Mi ha chiesto di togliere la collanina d’oro e di farmi la barba, ma ho rifiutato perché fa parte della mia persona. Tuttavia, ho accettato di indossare le cravatte!”.
Jean-Louis Bianco, ex ministro dei Trasporti di Mitterrand e mentore di Castaner nel dipartimento delle Alpi dell’Alta Provenza, ha assicurato che l’attuale presidente di Lrem si è sempre contraddistinto per la sua incisività nei dibattiti, fin da quando era un giovane militante socialista e cercava di farsi largo nella corte dei grandi. “Ha sempre avuto uno spiccato talento oratorio, una capacità di comunicare superiore alla media”, ha dichiarato Bianco. È un tipo autentico e verace Castaner, talvolta troppo per alcuni, come quando fece una battuta su Rihanna, che all’Eliseo, ospite della coppia Macron, si era presentata con un vestito “troppo largo” e lo avrebbe “deluso” se l’avesse vista dal vivo. “Machista!”, gridarono le femministe. E lui dovette spiegare che era soltanto un po’ di ironia.
Nato nel gennaio 1966 a Ollioules, in Provenza, da una madre casalinga e da un padre militare entrato nella Marina a 14 anni, veterano in Indocina e in Algeria, prima di continuare la sua carriera nel nucleare, Castaner racconta di aver avuto un’infanzia turbolenta. Ultimo di tre fratelli, Casta ricorda una madre “formidabile” che sognava di costruire una piscina ai figli con i suoi risparmi, ma un padre padrone autoritario, ossessionato dal lavoro e la gerarchia, e estremamente tirchio, al punto da lasciare la casa perennemente in penombra, utilizzando soltanto lampadine a bassa tensione. “Non c’era nulla, non si spendeva nulla. E così, quando sono morti ci hanno lasciato centinaia di migliaia di euro”, dice oggi il segretario di stato per le Relazioni con il Parlamento. Non c’erano libri e non c’era musica, era una vita scura, nonostante lì fuori splendesse la luce della Provenza. E la scuola? “Ero mediocre e ribelle”, afferma Castaner, mentre suo fratello rammenta di averlo visto spesso con il Monde sotto il braccio, simbolo di una curiosità che andava oltre i limiti della campagna in cui stava crescendo. A 17 anni, i rapporti con il padre sono al capolinea, e il giovane Christophe decide di andarsene di casa. Inizia un periodo complicato per la sua vita, che avrebbe potuto spingerlo in pessime direzioni. Vive soltanto di notte, e non solo per andare a ballare, ma anche per giocare a poker in posti squallidi dove si guadagna facile e si incontrano figure della mala marsigliese. “Manosque (città del dipartimento delle Basse-Alpi, ndr) era la loro base operativa. Li ho visti da vicino. Alcuni si facevano assassinare”, racconta colui che era stato soprannominato “lo studente”. Senza reticenze, Castaner confessa di aver vissuto in quegli anni grazie al gioco d’azzardo, attratto dai “soldi facili” e dalle auto di grossa cilindrata che giravano attorno ai bar e ai circoli dove si tenevano gli incontri. Di giorno, quando non è troppo stanco, scrive qualche articolo per la stampa locale. A 20 anni, ottiene il diploma di maturità da candidato libero, e subito raggiunge a Aix-en-Provence la ragazza incontrata sui banchi del liceo, che qualche anno dopo diventerà sua moglie e madre delle sue due figlie: Hélène. Iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Aix, storicamente orientata a destra, decide, per animo ribelle e convinzioni, di militare per il sindacato studentesco della gauche, l’Unef. Rapidamente, capisce che la politica può essere molto più di un passatempo e accede così al Partito socialista attraverso la porta della “deuxième gauche” di Michel Rocard, la sinistra moderna, europeista e liberale che cercava di essere alternativa al mitterrandismo dominante. Liberal-socialista convinto, frequenta i Clubs Forum, i circoli della giovanile rocardiana, dove incrocia Benoît Hamon, futuro candidato alle presidenziali del Ps, e Olivier Faure, attuale segretario del partito fondato a Epinay nel 1971. Già allora, il giovane Casta sottoscrive la visione di un altro rocardiano di ferro, l’amico ed ex premier Manuel Valls, secondo cui esistono “due sinistre inconciliabili”. E già allora è considerato “troppo liberale” da alcuni compagni di strada.
Con un diploma di giurista specializzato in affari internazionali e uno in scienze penali e criminologiche in tasca, fa una piccola esperienza alla Banque Nationale de Paris, poi inizia la sua carriera nei ministeri socialisti (Cultura, con Catherine Trautmann, e Funzione pubblica, con Michel Sapin), prima di conquistare il comune di Forcalquier nel 2001, ridente borgo provenzale, di cui è originaria la moglie Hélène. Nel 2012, viene eletto deputato nelle fila del Ps, e nel 2015 si lancia alle elezioni regionali, finendo terzo dietro il sindaco di Nizza Christian Estrosi e la rampante Marion-Maréchal Le Pen. Intanto Forcalquier diventa il suo feudo, che abbandonerà soltanto nel 2017, per dedicarsi interamente ai suoi ruoli di portavoce e segretario di stato.
“Sono un uomo del fare. Dunque preferisco ricoprire un ruolo dove posso fare le cose e non soltanto dire delle cose”, sussurrava off the records in un caffè vicino al Parlamento prima di sapere che incarico gli avrebbe affidato il presidente dopo la sua investitura. Perché è vero, e lo ha ripetuto più volte, che avrebbe preferito un portafoglio ministeriale, un dicastero di peso dove poter mettere a frutto le sue conoscenze in materia economica e giuridica. Ma per disciplina e senso del dovere non ha fatto una piega quando Macron gli ha chiesto di continuare a trasformare in parole il suo progetto per la Francia, con la stessa voce rassicurante e la simpatia rotonda che erano piaciute ai francesi durante la campagna elettorale.
“Christophe Castaner, il macronista che incarna la voce di un governo silenzioso”, titolò il Monde la scorsa estate, mettendo in fila tutti i rischi di un compito così delicato, quello di essere uno dei pochissimi comunicatori di un esecutivo avaro di chiacchiere con i giornalisti e ostile alla logorrea che caratterizzava il precedente quinquennio. Ma il 18 novembre 2017, in occasione del primo congresso di Lrem, è stato promosso delegato generale del partito (era il solo candidato a sostituire Macron al vertice), un ruolo più concreto per l’“homme de terrain” che è sempre stato. “Non sarò il capo del movimento, sarò un animatore al vostro servizio”, ha dichiarato durante il discorso di investitura dinanzi ai marcheurs e ai molti ministri presenti. “Il mio obiettivo è quello di rimettere in cammino il movimento”, ha aggiunto. La candidatura a delegato generale di Lrem è stata un’“evidenza collettiva”, secondo le sue parole, ma come ha sottolineato un parlamentare macronista al quotidiano Echos è chiaro che il presidente abbia giocato un ruolo centrale nella scelta: “La relazione di fiducia tra Macron e Castaner è stata determinante”. Ecco, ma perché proprio Casta? Per due motivi, osserva il sito di opinioni liberali Contrepoints: in quanto ex deputato socialista, è la conferma dell’ancoraggio a sinistra di una parte del partito, è la gamba progressista di Lrem e dell’esecutivo; in secondo luogo, è il perfetto politico di provincia, che conosce il mondo rurale e sa parlare il linguaggio della gente. Tutto il contrario dell’enarca e pariginissimo Benjamin Grivaux, diventato portavoce del governo al posto di Castaner, e nel 2020, chissà, candidato al comune di Parigi.
Casta, ora, dovrà trasformare Lrem, nato con l’unica vocazione di sostenere la candidatura di Macron alle presidenziali, in un partito, radicato sul territorio e capace di iscriversi a lungo termine nella vita politica francese.
Il primo appuntamento sono le elezioni europee del prossimo anno, ed è ben consapevole che una delle priorità sarà l’europeizzazione del problema della crisi migratoria. “Dobbiamo creare un’agenzia europea di gestione della questione dei migranti”, ha dichiarato pochi giorni fa su Europe1, perché “sulla crisi migratoria, né l’Europa, né la Francia sono state all’altezza”. E ancora: “Oggi, Frontex si occupa solo della questione securitaria. È importante che ci sia una solidarietà organizzata all’interno dell’Europa. Non dobbiamo avere soltanto un approccio quantitativo dei rifugiati, ma anche trovare le miglori soluzioni per garantire l’integrazione e l’accoglienza”. Viste le tensioni degli ultimi giorni, non sarà certo un compito facile.