Ecco come funzionano gli "hotspot" in Africa di Macron
Conte spinge in Europa per la loro istituzione. In molto si interrogano sulla fattibilità di un'iniziativa presentata per la prima volta da Macron il 27 luglio 2017. E da allora implementata con risultati ancora tutti da valutare
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha proposto nel suo incontro di metà mese con il presidente francese Emmanuel Macron l'istituzione di "hotspot" nei paesi africani di origine delle migrazioni, in Libia e nelle nazioni di passaggio del Sahel, per bloccare le pericolose traversate del Mediterraneo e interrompere i flussi migratori.
L'idea non è affatto nuova per la Francia, dove in questi giorni di litigi tra le cancellerie europee sull'immigrazione, televisioni e giornali si interrogano sulla fattibilità di un'iniziativa presentata per la prima volta da Macron il 27 luglio 2017. E da allora implementata con risultati ancora tutti da valutare.
L'estate scorsa, dopo aver incontrato un gruppo di rifugiati a Orléans, il presidente francese aveva annunciato ai giornalisti a margine della visita la sua intenzione di "creare hotspot in Libia" per la registrazione dei richiedenti asilo, e non dei migranti economici. L'obiettivo, aveva spiegato, è quello di "evitare alle persone di prendere rischi folli, quando non tutti hanno diritto all'asilo". Nel suo discorso quel giorno però Macron aveva parlato soltanto di "missioni" sul "suolo africano, in Paesi sicuri", dove poter verificare le richieste di chi fugge da conflitti, dittature, povertà e cartesie. Il giorno dopo, un titolo del quotidiano francese La Croix riassumeva bene la controversia e le difficoltà legate fin dall'origine alla proposta: "Gli hotspot di Macron non saranno né hotspot né in Libia". L'Eliseo aveva infatti già rettificato: in un primo tempo non ci saranno "hotspot" in Libia: affinché questo accada, serve maggiore sicurezza sul territorio. E la sicurezza in Libia manca ancora oggi: il Paese resta diviso, senza un governo unico capace di diventare interlocutore di un'Europa altrettanto divisa.
Gli "hotspot" che voleva Emmanuel Macron si sono tradotti nei mesi scorsi in tre "missioni di protezione" portate a termine dall'Office Français de Protection des Réfugiés et Apatrides, o Ofpra. Con la collaborazione delle Nazioni Unite, l'agenzia francese ha organizzato centri di accoglienza temporanei - dove processare le richieste dei migranti e distinguere tra migranti economici e rifugiati - in Niger e Ciad, due storici alleati della Francia, cha nel Sahel ha una delle sue più antiche e profonde aree di influenza, a differenza di altri Paesi europei, Italia compresa. Nonostante la stretta relazione francese con Niamey e N'Djamena e con il resto della regione, i governi africani non sono entusiasti del piano. I Paesi del Sahel, soprattutto il Niger, sono zone di passaggio delle rotte migratorie, di contrabbando di uomini e merci, e la presenza di "centri di accoglienza" considerati la frontiera avanzata dell'Europa preoccupano i politici locali: potrebbero aumentare la presenza di migranti tra i loro confini. I Paesi africani chiedono invece di "hotspot" sostegno finanziario per mettere fine alle crisi che originano le migrazioni e per garantire un maggiore sviluppo sociale ed economico della regione.
I risultati dell'iniziativa di Macron sono ancora difficili da valutare, concludeva numeri alla mano un servizio di pochi giorni fa dell'emittente francese TV5. Se il meccanismo ha come obiettivo quello di dissuadere i migranti a prendere la spesso fatale via del mare, si tratta di un'operazione troppo contenuta per contrastare un flusso massiccio: 157mila persone sono arrivate nel 2017 in Europa attraverso il Mediterraneo. La Francia si è impegnata a ricevere 3.000 richiedenti asilo in due anni, ma le tre "missioni di protezione" condotte dall'Ofpra hanno selezionato soltanto 458 individui in otto mesi - provenienti da Eritrea, Sudan, Somalia in prevalenza -, quindi l'obiettivo di Parigi sembra per ora difficilmente raggiungibile. Ed è lo stesso Eliseo ad aver recentemente ammesso come queste "missioni di protezione" non rappresentino un "mezzo di controllo dei flussi migratori", ma puntino a offrire un'alternativa legale al pericolo della traversata del Mediterraneo.