Washington, Donald Trump dopo l'annuncio dell'attacco in Siria il 14 aprile scorso (foto LaPresse)

Trump si fa fregare

Daniele Raineri

La tregua ottenuta dal presidente americano in Siria è saltata e tra poco c’è il supervertice con Putin

Roma. All’inizio di luglio 2017 il presidente americano Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin s’incontrarono per un paio d’ore a margine del G20 di Berlino e strinsero un patto che riguardava il sud della Siria al confine con Israele. Quel patto creò una cosiddetta zona di “de-escalation”, quindi una zona dove forze assadiste e ribelli avrebbero dovuto rispettare una tregua in attesa di negoziare una soluzione incruenta. Il colloquio fu descritto dalla Casa Bianca come un esempio positivo della collaborazione tra America e Russia: “Vedete cosa possiamo ottenere quando lasciamo cadere le ostilità”, era il senso delle dichiarazioni. Da dodici giorni però le forze assadiste hanno lanciato un’offensiva su larga scala per conquistare il sud e i suoi due centri più importanti, Daraa e Quneitra. I russi partecipano alla battaglia con i loro aerei come già hanno fatto in altre regioni del paese e come se la de-escalation non esistesse, a due settimane dall’incontro di Helsinki tra Trump e Putin. Anche i consiglieri militari iraniani e i combattenti del gruppo libanese Hezbollah sono coinvolti nella campagna perché sono le forze di terra migliori a disposizione del governo siriano. Decine di villaggi ribelli stanno capitolando in sequenza e stanno firmando in fretta accordi di riconciliazione con il governo di Bashar el Assad, per scampare agli orrori già visti nel resto del paese.

   

Con questo assalto nel sud della Siria i russi violano il patto fatto con Trump un anno fa e distruggono anche l’idea che avessero raggiunto un accordo con l’Iran perché tenesse le sue forze lontane dal confine con Israele (il governo di Gerusalemme è molto nervoso per la presenza degli iraniani e delle loro milizie così vicino e reagisce con raid devastanti in territorio siriano).

 

Per ora questa doppia rottura dei patti – reali o immaginari – che governavano quella zona non avrà conseguenze. L’Amministrazione Trump ha avvertito i ribelli, non ci sarà un intervento militare americano per bloccare la battaglia e non devono aspettarsi alcun tipo di aiuto, e Israele ha già detto che non aprirà il confine nord per far entrare le migliaia di civili siriani in fuga dai bombardamenti, anche se manderà soccorsi umanitari per quanto sarà possibile. Ci si aspetta che questa situazione in Siria sarà discussa da Trump e da Putin a Helsinki. Due fonti molto informate dicono alla Cnn che durante il recente incontro con re Abdullah di Giordania il presidente ha spiegato che tipo di accordo vuole ottenere: i russi possono aiutare gli assadisti a riprendersi il sud del paese, ma devono proteggere il più possibile i civili e devono tenere lontani gli iraniani dal confine con Israele. In cambio, gli americani non soltanto non faranno caso alla violazione del patto di de-escalation, ma ritireranno i loro soldati dalla Siria – come da tempo Trump vuole fare.

 

Ieri il New York Times ha spiegato che Trump tende a equivocare gli incontri personali che vanno bene con risultati diplomatici reali e gli esperti temono che potrebbe fare concessioni senza ottenere risultati significativi. Per esempio, dopo l’incontro con il dittatore della Corea del nord, Kim Jong-un, il presidente americano ha dichiarato che il rischio di una guerra nucleare era finito e ha ordinato la sospensione delle esercitazioni militari con la Corea del sud (un ordine molto desiderato da Kim), ma in realtà non ha ottenuto in cambio nulla di verificabile. E ha già fatto molte dichiarazioni prima dell’incontro con Putin che sembrano dettate dall’ufficio stampa del Cremlino: per esempio che la Crimea è russa perché gli abitanti sanno parlare il russo, e anche che la Russia merita un posto al G8 e non ha mai interferito con le elezioni americane.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)