L'America vive l'attimo magico del “job hopping” dai mille vantaggi
Disoccupazione bassa, stipendi in crescita, l’offerta di lavoro più alta della richiesta. “Chi lascia il lavoro vince”, scrive il WSJ
Milano. Questo lavoro mi annoia, i miei colleghi sono poco stimolanti, ogni giorno faccio le stesse cose, non ne posso più: mi dimetto, cerco un altro lavoro, in pochi mesi posso trovarlo, più interessante, più promettente, con uno stipendio migliore.
Sembra un sogno, o una pretesa, o una millanteria, ma nell’America del 2018 questo è quel che avviene davvero – e non capitava dall’anno 2000, pieno boom internettiano, l’onda lunga dei prosperosi anni Novanta. Merito di Trump, merito di Obama? Le interpretazioni politiche non importano ora, perché certe cose capitano soltanto in America, è il sistema statunitense che innesca, a ogni ciclo economico, dei meccanismi virtuosi quasi unici, frutto di una cultura della mobilità e della flessibilità che non ha a che fare con i presidenti, semmai con una fiducia incrollabile, controintuitiva talvolta, nella possibilità di stare meglio di come si è stati. Secondo i dati del ministero del Lavoro, la disoccupazione è al 3,8 per cento (dato di maggio), sotto la soglia che gli economisti definiscono fisiologica e che di solito si situa tra il 4-4,5 per cento: l’ultima volta che il tasso di disoccupazione era stato più basso (nel 2000 era uguale) risale al 1969, piena guerra del Vietnam. A giugno del 2018, per la prima volta dal 2000 (che è stato il primo anno in cui questo tipo di rilevazione è stata fatta), si è scoperto che in America oggi ci sono più offerte di lavoro che disoccupati: nel mese di aprile, ci sono state 6,7 milioni di offerte di lavoro (un record) a fronte di 6,3 milioni di disoccupati. E i dati del ministero pubblicati questa settimana mostrano che i lavoratori scelgono di lasciare il loro posto di lavoro a un tasso più veloce dagli anni 2000-2001. Chi cambia lavoro ha un aumento di stipendio di circa il 30 per cento in più rispetto a chi è restato per dodici mesi nello stesso posto, dice la Federal Reserve Bank di Atlanta.
L’ex direttrice della Federal Reserve, Janet Yellen, seguiva con attenzione l’andamento della cosiddetta disoccupazione volontaria: diceva che la riluttanza a rischiare di stare qualche mese senza lavoro nell’attesa di trovarne un altro era un sintomo chiaro di quello che lei chiamava “l’affaticamento” del mercato del lavoro. Ora questa riluttanza pare svanita, come dimostrano le voci raccolte da due reporter del Wall Street Journal. Megan Freitas ha 21 anni e studia da infermiera a Tanunton, in Massachusetts. Qualche settimana fa ha lasciato dopo due anni un lavoro in un negozio dove aveva avuto un unico aumento di stipendio quando è stato introdotto il salario minimo a 11 dollari l’ora. Ora fa un internship come studente-infermiera in un ospedale del Rhode Island, dove guadagna 14 dollari l’ora (in alcuni turni anche di più), e dove spera di ottenere un impiego a tempo indeterminato. Quando si è dimessa dal negozio, il proprietario le ha chiesto di continuare a lavorare per alcune ore, “avevano bisogno di aiuto e hanno insistito, sanno che sono una fessa, e infatti ho detto di sì”, ha raccontato. Ma ora Megan ha deciso, “dirò loro di chiamarmi soltanto se mi pagano di più, altrimenti possono pure risparmiarsi la telefonata”.
Il “job hopping”, saltare da un lavoro all’altro, è diventato talmente vantaggioso per i lavoratori che sono le aziende che devono trovare dei rimedi per non subire i continui cambiamenti di personale a disposizione. Quando il tasso di disoccupazione è così basso vuol dire che chi vuole un lavoro tendenzialmente ce l’ha, e che quindi per avere qualcuno bisogna “rubarlo” da un altro posto di lavoro: questo significa offrire stipendi più alti o maggiori garanzie, e ciò comporta una maggiore esposizione – maggiori rischi – per le aziende. Si inverte il potere contrattuale: la catena di ristoranti Saladworks ha aumentato del 5 per cento la paga base per i camerieri, e ha anche abbassato gli standard d’assunzione: ora i tatuaggi e i piercing sono accettati. L’orario di lavoro è diventato meno impegnativo e le concessioni sono più frequenti, per ragioni fino a poco tempo fa inimmaginabili (tipo essere a casa in tempo per portare fuori il cane), ma “se dici di no a un venerdì libero – ha raccontato un responsabile di uno di questi ristoranti – se ne vanno subito: sanno che per il lunedì successivo hanno già trovato lavoro da un’altra parte”.
Anche se il ministero del Lavoro individua questo momento d’oro per il “job hopping” in molti settori – il titolo dell’articolo del Wall Street Journal è “chi lascia vince” – non per tutti il passaggio da un lavoro all’altro è rapido e soddisfacente. Ci sono ancora molti lavoratori part time che sognano un impiego più stabile e non riescono a trovarlo, anche perché nell’ultimo decennio hanno spesso dovuto accontentarsi di lavori temporanei senza troppe prospettive di crescita: ambire a una carriera cominciando da zero resta un obiettivo più difficile da raggiungere. Ma la mobilità è tornata a livelli alti, e con essa aumenta la propensione al rischio. La Federal Reserve vigila, perché se ci sono pochi lavoratori sul mercato e l’inflazione cresce vuol dire che l’economia è surriscaldata, ed è necessario mettere mano ai tassi di interesse con più grinta rispetto all’approccio di oggi. Anche il Congresso vigila, perché ci sono molti fattori che il mercato del lavoro deve ancora assorbire, il processo di automatizzazione di parecchi settori per esempio, e non ci si può trovare impreparati. Ma intanto soprattutto i più giovani si godono il momento in cui tutto sembra possibile, anche dimettersi per noia o per antipatia, e poter brindare dicendo: merito di più.