Donald Trump in conferenza al summit Nato di Buxelles (foto LaPresse)

Trump mette a soqquadro la Nato, poi si smentisce. Il contenimento degli alleati

Una nuova “madman theory”. Il doppio registro di The Donald, dalle minacce di rottura all'Alleanza atlantica “più forte”

Roma. Alcuni funzionari della Nato hanno detto all’edizione europea del quotidiano Politico che ieri mattina Donald Trump è arrivato furibondo alla seconda giornata del vertice. I media non avevano preso abbastanza sul serio le uscite scioccanti del presidente spacca-alleanze, e le parole contro i paesi “insolventi”, l’accusa alla Germania di essere “totalmente controllata” dalla Russia e l’agitazione del fantasma del 4 per cento del pil per la spesa militare ed erano usciti diluiti, depotenziati da una dichiarazione ufficiale che confermava impegni economici già presi e posizioni anti russe già consolidate. Contrariato da tanta normalità percepita, il presidente ha cercato di rimediare. E’ arrivato al summit con mezz’ora di ritardo, ha fatto saltare due incontri con capi di stato, ha chiesto al segretario generale, Jens Stoltenberg, di convocare una sessione d’emergenza per chiedere agli alleati di aumentare la spesa militare al due per cento del pil immediatamente, e non entro il 2024, come da accordi, ha twittato furiosamente minacce e cambi di programma, ha fatto una conferenza stampa improvvisata di 35 minuti ed è partito anzitempo alla volta di Londra. Si è vantato, dopo la sessione, di aver ottenuto dagli alleati un “sostanziale incremento del loro impegno” con effetto immediato, circostanza smentita dai leader di Germania, Francia e Italia. Qualcuno dice che Trump abbia minacciato, in caso di inadempienza, di “fare la mia cosa”, ovvero di uscire dalla Nato, cosa che peraltro la Casa Bianca non può fare senza il voto del Congresso. Trump si è poi smentito, dicendo che una rottura “non è necessaria”. 

    

Nella conferenza stampa a briglia sciolta, Trump ha minimizzato: il presidente “crede nella Nato”, organizzazione “molto forte” che ha affrontato il vertice “con grande spirito di collegialità”. L’alleanza, ha detto, è una “fine tuned-machine” guidata da un “very stable genius”, espressioni care al presidente. La quota del 4 per cento del pil, a cui “alla fine” tutti dovranno arrivare, è diventato il “magic number” che Trump ha tirato fuori dal cilindro nella due giorni di Bruxelles ogni volta che ha sentito il bisogno di un rilancio retorico contro gli alleati scrocconi che godono del generoso ombrello militare finanziato da Washington, ma non se ne trova traccia negli impegni sottoscritti dai 29 membri.

   

Trump ha creato così un doppio livello narrativo. Da una parte, c’è il leader abrasivo che batte i pugni sul tavolo delle burocrazie globaliste nel nome dell’interesse nazionale, atteggiamento che manda in sollucchero la base elettorale verso cui Trump ha sempre un occhio rivolto; dall’altra, c’è il capo di stato che riconferma, soltanto con tono più deciso, assetti e accordi in continuità con i suoi predecessori. Interpellati sulle minacce di far saltare l’alleanza, gli altri leader hanno abbassato i toni. Angela Merkel ha parlato di una “discussione molto seria”, Emmanuel Macron ha confermato che “Trump non ha mai, in nessun momento, sia in pubblico sia in privato, minacciato di lasciare la Nato”, Stoltenberg ha addirittura attribuito alla tumultuosa franchezza di Trump una coloritura positiva: “Il fatto che abbiamo avuto questa discussione franca ha riaffermato chiaramente che raddoppieremo i nostri sforzi e fa vedere anche che il messaggio chiaro di Trump ha un impatto”.

   

Il doppio registro del presidente delinea qualcosa di vagamente simile alla “madman theory” di Richard Nixon, che teorizzava la necessità di far credere ai leader dell’Unione sovietica che la Casa Bianca agisse in modo irrazionale. Non è chiaro se Trump abbia una paragonabile coscienza strategica, ma al vertice di Bruxelles ha mostrato un’ambiguità che potrebbe avere i tratti di un metodo. Su questo registro si è mosso anche parlando della Russia. Quando gli hanno chiesto della Crimea, lui ha ricordato che l’annessione è avvenuta sotto lo sguardo di Obama e che comunque “la gente dice ‘ah, la Crimea!’ ma il fatto è che hanno costruito dei ponti in Crimea”, quasi a intendere che l’occupazione russa della penisola non sia poi tanto male. Eppure Trump “non è felice della situazione” e c’è anche una legge che dice che gli Stati Uniti “non riconosceranno mai l’annessione illegale della Crimea”. Questo Trump non l’ha ricordato, ma si spera che lo faccia in vista dell’incontro finlandese con Vladimir Putin.