In piazza contro Trump. Il fantasma che spaventa gli inglesi

Mentre il presidente americano incontra Theresa May a Londra si protesta. La gente un po' lo sa che, con la Brexit, c'è il rischio di diventare come i cugini d’Oltratlantico. E non ci sta

Cristina Marconi

Londra. Che ci fosse qualche trumpiano in giro per la piazza era inevitabile. Uno, ad esempio, sventola una bandiera americana nuova di zecca, non riesce ad aprirla, intorno a lui la gente pensa di avere visto male, controlla che ci siano tutte le stelle e che non ci sia un errore. Quando si scopre che è un giovane ungherese sorprendentemente a corto di argomenti sul perché sia lì a dire il contrario di quello che dicono tutti, la gente perde interesse e torna a fare quello che era venuta a fare: protestare al posto del governo per una visita che non sarà di Stato ma che ha tutti i crismi dell’ufficialità. Visita che dava fastidio ai tempi in cui è stata organizzata e che fa particolarmente male adesso, in un momento di morale a terra per il paese, tra quella coppa del mondo di calcio che non è tornata a casa e quella sensazione di scivolare via dall’Europa senza grazia e senza gloria, con una premier troppo debole anche per farsi rispettare davanti a uno che rompe tutti i protocolli e la umilia a mezzo tabloid. Poteva andare male, sta andando peggio. “Non sono uno da manifestazioni, but honestly, ma francamente!”, dice il cartello di Joe, londinese di mezza età che, come tutti sul grande prato arso dal sole di Parliament Square, ha fatto un bel po’ di bricolage e ritagli negli ultimi giorni. I manifesti sono tanti, gli slogan dimostrano una certa creatività e i londinesi, che già non perdono occasione per travestirsi, ce l’hanno messa tutta per essere rumorosi e colorati e fare il più grande casino possibile per le due cause che stanno loro a cuore, Brexit e Trump, Trump e Brexit. 

 

“Mi piacciono i miei vecchi amici, gli europei”, racconta una sessantenne con un cartello a ribadire il concetto: dobbiamo proprio liberarci dall’Europa dei diritti e delle tutele per unirci a questa politica violenta e retriva, che nega tutte le cose per le quali lottiamo da una vita? Il gigantesco Baby Trump gonfiabile è a fare la nanna, risorgerà solo prima dell’inizio della manifestazione, che poi sono tante, c’e’ un maxischermo su cui scorrono i tweet sulla protesta, tutti aspettano che succeda qualcosa. “L’intervista al Sun è deplorevole, un capo di stato straniero che auspica un cambio di governo è una cosa mai sentita”, spiega un giovane vestito come un filologo dell’ottocento, roba che anche il vittoriano Jacob Rees-Mogg si girerebbe a guardarlo. “A quel paese la Brexit, non è un accordo fatto” è lo slogan che indossano tutti grazie a una signora premurosissima che gira con un rotolone fluorescente per distribuire adesivi. Quelli contro Trump sono finiti, ma alla fine è lo stesso, e comunque il fatto che quel presidente abbia messo bocca su un tema così delicato è roba che fa infuriare. 

 

Theresa May non ci piacerà ma è la premier, non esiste che la si attacchi come ha fatto The Donald nella sua intervista. E poi almeno vuole la soft Brexit, anche se  a questo punto non era meglio non farla per niente? Possiamo non farla più? Si chiede la piazza e chissà quanti corbyniani ci sono tra queste persone gentili, che sembrano uscite da un concerto di Kate Bush, tra tessuti naturali, capelli tinti con l’henné e zainetti etnici, chissà che non siano proprio loro a chiedere e ottenere un cambio di marcia dal loro leader, magari dal loro partito. Anche perché pacifici pacifici non sono, come dimostrano i toni che si accendono quando un ragazzo nero si mette a difendere Donald Trump e le sue politiche, “gli state dando addosso, con Obama è stato versato molto più sangue nel mondo, aspettate che le sue promesse facciano effetto” e per poco non parte una rissa, anche perché qui non è in ballo solo l’opposizione al trumpismo, qui si cerca di recuperare una certa idea di paese in un momento in cui la confusione è massima e le soddisfazioni poche. 

 

Iniziano a sfilare gli inevitabili cartelli sull’Nhs, il servizio sanitario nazionale, sghembo imperfetto e sempre sull’orlo della bancarotta, ma vero baluardo della resistenza britannica contro l’ultracapitalismo. Se ci fosse un muro tra Regno Unito e Stati Uniti sarebbe un grande ospedale pubblico finanziato da contribuenti fieri e felici di sapere che chiunque viene curato gratis: per il resto i due paesi si somigliano troppo, e gli inglesi un po’ lo sanno, un po’ lo sanno che senza l’Europa rischiano di diventare come i loro cugini d’Oltratlantico, che se togli la regina e le buone maniere quello si rischia, ed è per questo che sono qui in piazza sotto il sole a dire che no, la gente non ci sta, il maschilismo non lo vogliamo, i bambini li amiamo, gli immigrati li accogliamo. Perché gira e rigira Donald Trump è lo specchio nero in cui il Regno Unito ha paura di vedersi un giorno riflesso. 

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