Macron ha un'opportunità che non va sprecata per salvare i valori europei
"All’Europa servano urgentemente riforme politiche, sociali ed economiche”. Intervista a Matt Browne del Center for American Progress
Roma. Nella settimana di un vertice Nato dove voglia di stare insieme se n’è vista poca, nei giorni in cui i vari leader dei movimenti (e dei governi, con il nostro in prima fila) populisti e sovranisti continuano ad alzare testa, voce e tiro sui social network, dove sui resti della Brexit è iniziato un pericoloso balletto su chi questa benedetta uscita dal progetto continentale la fa più dura, e soprattutto nelle ore in cui abbiamo sentito dire dal presidente degli Stati Uniti che l’Europa è un nemico, mantenere ottimismo e fede nei valori delle democrazie liberali e nelle battaglie che ci hanno permesso di costruirle è un esercizio che richiede dedizione. Qualità che non mancano a Matt Browne, fondatore del progetto Global Progress e senior fellow del pensatoio dem americano Center For American Progress, un federatore permanente delle idee progressiste in giro per il mondo. Browne è a Roma in questi giorni, per presentare l’edizione italiana curata dal think tank Volta di un paper, di cui è autore, che analizza l’impatto populista in Europa, e il Foglio l’ha incontrato per parlare del momento politico tumultuoso che stiamo vivendo. Iniziamo col chiedergli quand’è che l’Europa, e i valori che rappresenta, è diventata l’imputato principale di tutto. “Credo che esistano ragioni reali per i sentimenti diffusi di frustrazione verso le performance delle istituzioni europee negli ultimi dieci anni – risponde Browne – e verso la loro risposta insufficiente alle conseguenze della grande crisi globale finanziaria prima e al fenomeno migratorio poi”. Questo vuol dire che va rimesso in discussione tutto il progetto europeo e con lui l’idea di un’unione ancora più integrata?, chiediamo. “La mia risposta è no, ma è indubbio che all’Europa servano urgentemente riforme politiche, sociali ed economiche”.
Riforme e, dunque, riformisti. Essendo Browne molto addentro agli affari della famiglia progressista, viene naturale chiedergli quale debba essere il suo ruolo in questa fase, se esiste un modo per questa famiglia politica di uscire dall’angolo in cui la storia sembra averla relegata. E se può essere Macron il suo leader, visto che sembra l’unica voce forte e chiara che si staglia in difesa di una certa visione del mondo. “Chi ha avuto modo di leggere o ascoltare il recente discorso di Viktor Orbán sulla sua visione per il futuro del Partito popolare europeo ha ben chiaro che le visioni che si andranno a scontrare alle prossime elezioni europee sono due: una orbaniana, di un’Europa isolata e basata su valori sempre più conservatori, col tentativo di spostare ancora più a destra i popolari europei, e vedremo come questo si incontrerà con l’idea di Salvini di una Lega delle leghe; e una macroniana in difesa dei valori democratici e liberali e di un’Europa ancora più integrata. Questo ci porta alla questione che riguarda i progressisti: può Macron essere il loro leader? Dobbiamo partire dal dire che oggi la famiglia europea dei Socialists & Democrats purtroppo a volte dà l’impressione di stare insieme solo per colore e tradizione, ma stenta a ritrovarsi attorno a un’unica visione progressista per l’Europa. Eppure una visione progressista esiste eccome: gestire il fenomeno migratorio invece di far finta di contrastarlo, insistere sull’impostare un’agenda pro crescita, che porti sviluppo e lavoro, e lavorare sull’idea di un’Europa che si faccia simbolo e portavoce di determinati valori nel mondo. Tutte cose che Macron condivide e interpreta. Detto questo, io credo che il presidente francese stia perdendo un’opportunità: quella di stimolare un dibattito attorno a questi valori, di ridare vita e voce a un network internazionale di pensatori, intellettuali, leader potenziali del futuro che si ritrovino e lavorino attorno a questa visione condivisa. Cosa che, ad esempio, con Tony Blair e Policy Network facemmo. Ho il sospetto che Macron pensi di poter dare vita a un progetto politico a cui però manca un pezzo oggi più che mai fondamentale: quello dell’elaborazione di idee nuove e condivise. Quindi sì, Macron può diventare il leader dei progressisti, a patto che renda più chiara ed esplicita la sua visione”. Facciamo notare a Browne che forse è la tossicità del marchio progressista a tenere lontano un leader che ha vinto su una proposta che andasse oltre le tradizionali famiglie politiche. Lui ci dice che “se usiamo il termine progressista solo come aggiornamento del termine sinistra, certo. Ma se andiamo oltre e pensiamo alle nuove assi della politica, l’apertura contro la chiusura, l’ottimismo contro il pessimismo, i tolleranti contro gli intolleranti, i valori che Macron propone e difende sono pienamente progressisti, al di là di chi a sinistra usa il termine per dare un volto nuovo alle vecchie idee della sinistra tradizionale. Ripartirei da questo”.