Se ci hai ripensato, dimmelo. Il tormento di un nuovo referendum sulla Brexit
Il diritto a cambiare idea e la disperazione
Milano. L’Europa si prepara a non trovare un accordo con il Regno Unito sulla Brexit e il Regno Unito contempla la possibilità di una nuova consultazione, un nuovo referendum: se ci abbiamo ripensato, diciamocelo. Il negoziato per l’uscita del Regno dall’Unione europea è iniziato due anni fa e ora, alla vigilia della chiusura dei lavori parlamentari britannici, un’altra estate del discontento, si delineano le alternative più estreme, sintesi esatta del fallimento del dialogo: ce ne andiamo sbattendo la porta o ci fidiamo della nostra capacità di ripensarci. Il governo di Theresa May insiste sulla propria terza via, che è il compromesso più grande che la premier sia mai riuscita a esplicitare, ma anche questa proposta rischia di schiantarsi contro una dogana, una frontiera, il cuore della Brexit e del “riprendere indietro il controllo”. Ieri la May ha parlato a Belfast e ha definito “inconcepibile” la possibilità di creare un confine tra l’Irlanda del nord e il Regno Unito e tra l’Irlanda del nord e la Repubblica d’Irlanda. Per Bruxelles è inconcepibile che la May chieda di uscire dal mercato unico e dall’unione doganale e allo stesso tempo pretenda di non creare una frontiera. Si va avanti così da tempo e si continuerà fino al Consiglio europeo di ottobre, la deadline del negoziato.
Così il partito del ripensamento si fa più rumoroso, inizia a credere nella più pericolosa delle convinzioni: l’inevitabilità, finiremo per ripensarci perché non c’è nient’altro da fare. Il partito non è compatto (quale partito d’ispirazione democratica è compatto?): da una parte c’è l’innominabile Tony Blair, l’araldo del diritto a cambiare idea. L’ex premier laburista da molto tempo dice che il popolo britannico deve avere l’ultima parola sull’accordo sulla Brexit: prima di comprare una casa, vuoi vederla.
Né i Tory né il Labour vogliono un secondo referendum, ma il “people’s vote” è diventato un movimento difficilmente ignorabile: è ben organizzato sui social, ha molti leader anti Brexit di riferimento, riempie le piazze. Ma fare un nuovo referendum è difficile: l’Economist in edicola da ieri scrive un editoriale a favore di questa alternativa. Siamo arrivati a un punto morto, ridiamo la parola al popolo inglese, che ora che ha visto la Brexit un po’ più da vicino magari deciderà di non arrischiarsi troppo sulla via del divorzio. Però è una strada molto difficile: ci vuole tempo e tempo non c’è (il governo Cameron ci mise sette mesi a far passare la legge sul referendum), ci vuole il sostegno del Parlamento che sulla Brexit è in cortocircuito completo, ci vuole un quesito semplice, che invece sta prendendo una forma complicatissima, come sostengono i parvenu del secondo referendum: accetti l’accordo negoziato dalla May? o vuoi rimanere in Europa? o vuoi uscire senza accordo? Il Regno non ha mai tenuto un referendum a scelta multipla, e in questo caso dovrebbe anche decidere con che metodo scegliere il vincitore. Per di più l’Europa potrebbe perdere lo slancio (già piccino) per negoziare un buon deal, visto che comunque la scelta finale è di nuovo del popolo inglese; il fatto che ci sia un “no deal” tra cui scegliere animerebbe i falchi della Brexit; il paese rimarrebbe spaccato a metà come è da due anni; il Parlamento perderebbe la sua credibilità come mediatore. E’ bello e rassicurante sapere di avere il diritto di cambiare idea, ma se il ripensamento si mischia al rimpianto il fascino scompare: non sai come ne esci se ti capita di vincere un referendum sulla disperazione.