Foto di Strelka Institute via Flickr

Adesso Facebook prova a mettere un freno alle fake news letali in India

Giulia Pompili

Migliaia di messaggi falsi sui ladri di bambini e i linciaggi

Roma. Immaginate una di quelle fotografie evidentemente false che girano per il web. Durante l’ultima campagna elettorale italiana la più bersagliata era l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini: “Questo è Luca Boldrini ed è il figlio del fratello della presidente della camera Laura Boldrini. Pur avendo solo il diploma, è stato assunto nella segreteria dell’ufficio verifiche atti di palazzo Chigi e guadagna a solo 22 anni. 8 MILA euro al mese!!! E nessun telegiornale ne parla... VERGOGNA!!!”. Immaginate la foto di un ragazzo, ben riconoscibile e che non ha niente a che vedere con la didascalia dell’immagine che viene fatta girare. E se il riferimento della fake news fosse, per esempio, la pedofilia?

   

Da maggio del 2018 il problema delle fake news ha ucciso almeno 27 persone in India. Linciate pubblicamente dopo che alcune notizie false sul loro conto erano state fatte circolare online. In pochi anni l’India ha raggiunto una cosa come 200 milioni di utenti e si è trasformata nel mercato più importante per Whatsapp, l’app di messaggistica acquistata da Facebook nel 2014, grazie anche alla diffusione della rete internet e degli smartphone a basso costo. “Whatsapp sta assumendo un ruolo sempre più centrale nelle elezioni”, scriveva nel maggio scorso da Mangalore Vindu Goel del New York Times. “E’ Whatsapp l’applicazione più usata da politici, attivisti e religiosi in India, soprattutto negli ultimi mesi. La utilizzano per inviare messaggi e diffondere notizie tra i 49 milioni di elettori del Karnataka. Ma mentre molti messaggi hanno i contenuti di una normale campagna elettorale”, alcuni hanno lo scopo preciso “di accendere tensioni settarie, altri contengono informazioni false, e non c’è modo di capire da dove provengano”.

Negli ultimi mesi la situazione è degenerata. Il ministero dell’Elettronica indiano ha chiesto a Facebook di prendere provvedimenti “concreti”, e venerdì l’azienda di Mark Zuckerberg ha pubblicato uno statement in cui spiega che l’inoltro dello stesso messaggio sarà limitato a 5 volte. Ma non è detto che funzioni. Tre giorni fa sempre il New York Times ha pubblicato un reportage in cui si spiega come un video prodotto in Pakistan, che metteva in guardia dai cosiddetti “ladri di bambini”, sia stato alterato e sia diventato virale in un villaggio del Tamil Nadu. Perché è su chi rapisce i bambini e li usa per il traffico di organi che si muove questa ondata di fake news che sta ammazzando la gente: “Quel tipo di messaggi in India ha come oggetto un timore universale: far male a un bambino. E milioni di indiani scarsamente istruiti che si collegano online per la prima volta sono pronti a credere a qualunque messaggio arrivi sul loro telefono”. La folla ha scambiato Rukmani, 65 anni, e le persone che viaggiavano con lei in auto nei protagonisti del video. Sono stati linciati. Il governo locale, che da settimane tentava di dire che le notizie dei ladri di bambini erano false, ha ammesso: “Non possiamo competere con Whatsapp”. “Indipendentemente dall’origine delle fake news, la folla spesso tende ad agire senza curarsi delle autorità locali, preferendo alla denuncia alla polizia un’iniziativa spontanea e criminale che, nel paese, raramente porta a conseguenze penali per i componenti del branco”, ha scritto su East Matteo Miavaldi, “Tradizionalmente, in casi di linciaggio, le autorità competenti procedono d’ufficio all’apertura di ‘indagini contro ignoti’ che spesso finiscono in un vicolo cieco grazie all’omertà dei residenti. Condizione che, nel tempo, ha circondato le folle di linciatori con un’aura di impunità”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.