Il surreale dibattito tra Israele e Russia sugli iraniani in Siria
Cosa non torna nella trattativa di una fascia di rispetto misurata in chilometri che i russi dovrebbero imporre agli iraniani. Quanti secondi di sicurezza volete prima di un attacco?
In questi giorni c’è un dibattito surreale che coinvolge i leader militari e politici più alti in grado di Israele e della Russia e riguarda la presenza dell’Iran in Siria. E’ surreale perché da mesi escono notizie sulle presunte trattative e ogni volta si parla di una fascia di rispetto misurata in chilometri che i russi dovrebbero imporre agli iraniani: state lontani almeno dieci chilometri dal confine siriano con Israele, anzi state lontani almeno quaranta chilometri dal confine siriano con Israele, fino ad arrivare al recente state lontani almeno cento chilometri dal confine siriano con Israele. Si parla di questa distanza di sicurezza tra gli iraniani e Israele come la soluzione che sistema tutto. Ma la realtà della guerra moderna rende questi retroscena e queste fughe di notizie molto bizzarri: Israele è un paese piccolo che gli aerei attraversano in pochi minuti, e a maggior ragione i missili, quindi non si vede perché dovrebbero negoziare su una differenza di sessanta chilometri dai loro nemici giurati. Un missile balistico Scud, piuttosto lento e vecchiotto, fila per aria a più di cento chilometri al minuto, è difficile credere che siano davvero in corso negoziati per togliere agli iraniani quaranta secondi di vantaggio nel caso decidessero di bombardare Israele da una base siriana. E ci sono missili che vanno tranquillamente a Mach 10, quindi la fascia “di sicurezza” aggiungerebbe nel caso migliore venti secondi.
Inoltre c’è da considerare che gli iraniani in Siria non si muovono sotto la bandiera della Repubblica islamica e accompagnati da una fanfara, possono arrivare fin sotto le alture del Golan senza essere identificati. Difficile controllare che stiano dietro la immaginaria linea rossa tracciata dai russi a cento chilometri. Il concetto più generale è che Israele ha dichiarato che può tollerare la vicinanza con il regime di Bashar el Assad in Siria come già faceva senza troppe preoccupazioni prima della rivoluzione del 2011 ma non può tollerare la presenza in stile coloniale degli iraniani e di Hezbollah – come ha fatto presente a tutti i suoi interlocutori, da Washington a Mosca. E quindi per ora si aspetta una soluzione che non arriva, mentre il regime siriano consolida le proprie posizioni e riguadagna tutto il territorio che aveva perduto a sud. Per anni quella zona era stata la più tranquilla del paese, o quasi, ma in questi mesi è diventata una fonte quotidiana di breaking news gravi. Martedì gli israeliani hanno abbattuto un caccia siriano che aveva superato il confine e ignorato gli avvertimenti, i resti dell’aereo sono precipitati in Siria in un’area controllata dallo Stato islamico, un pilota è morto e dell’altro si sono perse le tracce. Ieri alcune squadre della morte dello Stato islamico – che ancora infestano le regioni meridionali del paese – hanno lanciato un assalto contro l’enclave drusa di al Suwayda, hanno occupato villaggi, hanno ucciso circa duecentoventi persone. I drusi sono una comunità che si è staccata dal governo di Assad e che era riuscita ad attraversare questi anni di guerra quasi intoccata e in modo pacifico. Hanno respinto l’attacco, ma il bilancio finale è un disastro come da tempo molti di loro temevano sarebbe successo.
Ieri circolavano le immagini di tre uomini dello Stato islamico sorpresi mentre stavano per attaccare l’ospedale della città e subito impiccati a un’insegna. Molti drusi di al Suwayda su Facebook sostengono che la colonna dello Stato islamico che li ha massacrati è la stessa evacuata dal campo di Yarmouk, nella parte sud di Damasco, a maggio dopo un accordo con il governo e poi lasciata libera nel deserto a est.